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Serie A, è tornata la Juve

Colpo Udinese, flop-Roma

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Se qualcuno ne sentiva la mancanza, potrà asciugare le lacrime e finire di struggersi.

La Juventus è tornata in quota-Juve, la sua convalescenza si è conclusa. Aveva perso il trend, lo ha ritrovato. E, anche se sulla sua strada in campionato dovessero esserci altri intoppi e difficoltà, non potrà comunque far peggio di quanto ha già fatto tra agosto e ottobre. La classifica del dopo-Palermo sta a testimoniarlo: bianconeri a 24 punti, a sole tre lunghezze dalla quarta, la Roma, e conseguentemente a tre dalle seconde, Fiorentina e Napoli, e a sei dalla capolista Inter. Distanze incolmabili? Assolutamente no, e il fatto che nerazzurri, partenopei e viola debbano ancora giocare e quindi possano guadagnare qualche punto di distacco in più, non modifica il quadro.

La gara che ha riproposto prepotentemente in alto la squadra di Allegri non è stata semplice: ai campioni d’Italia, infatti, è occorso un tempo per capire come scardinare la difesa dei rosanero. All’inizio della ripresa, più precisamente al 9’, Mandzukic  sblocca: ma non è l’inizio di un crescendo bianconero. Allegri, anzi, preferisce coprirsi, e i due gol di consolidamento arrivano soltanto nel finale, con Sturaro all’ 89’ e Zaza al 93’. Non inganni il fatto che la partita si disputava alla "Favorita" di Palermo: considerato il seguito e l’affetto di cui gode al Sud (Napoli esclusa), in pratica la Juve giocava in casa. Proprio per questo, pur non essendo il match clou, Palermo-Juventus era comunque la  vera gara-attrazione dell’intera giornata. E, nonostante lo 0-3 finale, per i tifosi palermitani è stata comunque una festa. E se anche l’ex Dybala fosse andato in gol, avrebbe rovinato la festa, o l’avrebbe resa un’apoteosi di felicità masochistica? L’eventualità non si è realizzata, ma di certo c’è molto dell'attaccante argentino già panormita nel primo gol juventino.

Nel pomeriggio si era registrata la  prima, prestigiosissima vittoria in trasferta per il Carpi. Al "Ferraris", infatti, i menottiani si prendono il lusso di battere la squadra più antica d’Italia, il Genoa, e oltretutto dopo essere riusciti a gestire lo svantaggio per più di un tempo. Il portoghese Figueiras portava in vantaggio i grifoni all’8’ , qualche minuto dopo l’espulsione-lampo di Pavoletti, ma si illudevano i tifosi che pensavano di aver già ipotecato la vittoria. E la parata del bravo Perin su Matos al 41’ non aveva certo chiuso i giochi definitivamente. Nella ripresa, infatti, Castori si ricorda che un certo Borriello, ex della partita, scalpiterebbe per mettere la sua impronta sulla gara: sicché al 51’ non ha più cuore di farlo rimanere in panchina e lo manda in campo al posto del collega d’attacco brasiliano. La scelta lo ripaga: appena sette minuti dopo, infatti, Borriello trova l’1-1, che per il Genoa è come fosse il colpo del ko. Quasi folgorati dalla vista di un fantasma (Borriello, appunto), i genoani non si riprendono più; sicché l’ex ha tutto l’agio di fare e disfare palloni vincenti, fino a che, all’81’, memore forse dell’antica regola che esagerare con la vendetta  significa peccare di hybris, anziché prendersi il gusto di mettere lui stesso al tappeto i rossoblù, mette Zaccardo nelle condizioni di farlo in suo nome. E sono tre (punti): il Carpi lascia così lo scomdo fanalino di coda al derelitto Verona.           

Acuto in trasferta anche per l’Udinese in ripresissima, a spese di un Chievo che, per contro, è in super-flessione. Anche al "Bentegodi" a passare in vantaggio sono coloro che, alla fine perderanno: al 26’, infatti, per i pandorini sbloccava il sempre affidabile Paloschi. Poi, però, l’imponderabile incidente di percorso dava l’abbrivio alla riscossa ospite: Frey al 43’ trafiggeva il suo stesso portiere, e soltanto tre minuti più tardi Théréau, già in forza ai veneti, ribaltava il punteggio. La vendetta dell’ex si completava all’81’,; nel frattempo il risultato era cambiato ancora, perché Inglese, al 73’, era riuscito a trovare il 2-2. Ci sembra giusto spendere una parola per Totò Di Natale, il sempiterno attaccante friulano che, quasi a farlo apposta, ha deciso di lasciare prima di… Natale il calcio giocato. Se il suo acceleratissimo viale del tramonto, però, continuerà ad essere costellato di perle come la preziosissima partnership nel gol del raddoppio di Théréau, il rimpianto che lascerà avrà la potenza di un cataclisma.      

Parlavamo ieri di Vincenzo Montella, allenatore subentrato ma tutt’altro che decollato (alla Sampdoria). Altri suoi colleghi potrebbero presto avere le stesse difficoltà di ambientamento, se è vero come è vero che in questo momento ci sono almeno altre due piazze in cui si prospettano (o si auspicano) rivolgimenti sul piano della conduzione tecnica. Ci riferiamo al Verona, dove il lungo tira-e-molla con Mandorlini dovrebbe (potrebbe) finire nelle prossime ore, e, udite udite, alla Roma: a Trigoria l’era-Garcia, che sembra comunque volgere al capolinea, potrebbe veder accelerato il suo epilogo, alla luce di un trend negativo che non dà scampo. Il d.s. capitolino, Sabatini, a 90° Minuto, sembra avere escluso un esonero immediato, ma è più che certo che, perdurando la continuità di risultati deludenti o fallimentari, il discorso verrà riaperto a breve.

Il Verona, infatti, a Frosinone è diventato la quarta vittima del “Matusa”: e mentre i ciociari stanno trovando una salutare regolarità di risultati tra le mura amiche, gli scaligeri perdono da tre turni consecutivi. E la cosa che preoccupa davvero è che la loro reazione è iniziata, e si è sviluppata, solo molto dopo che il risultato era stato già messo al sicuro dai padroni di casa. Ciofani mette le basi del trionfo frusinate al 22’ e poi le consolida al 40’; l’ultima colata di cemento la passa poi Dionisi, al 49’. La partita dei veneti inizia invece al 69’, con il gol del 3-1 di Viviani. Al 76’ Moras dimezza ulteriormente le distanze, ma i miracoli gialloblù finiscono qui.

La Roma, invece, fa peggio, e lascia che l’irriducibile Atalanta di Edy Reja espugni l’Olimpico, e ri-agganci il Toro a 21 punti: parlare di euro-ambizioni per gli orobici non è più così eretico, anche perché, calendario alla mano, in capo a due partite potrebbero trovarsi dove proprio la Roma si trova adesso. Non è detto insomma che i gol di Alejandro Gómez al 40’ e di Denis all’82’ su rigore, oltre che a maramaldeggiare su un “colosso bollito”, non servano anche come “tappe di avvicinamento” per orizzonti più importanti.

Se la Roma piange, la Lazio di certo non ride: va a finire che anche Pioli, di qui a poco, si ritroverà nel calderone dei tecnici a rischio. Il fatto è che i biancocelesti, che appaiono sufficientemente competitivi in Coppa, in campionato non vincono ormai da un mese, e, precipitati al 10° posto dall’Euro-zona, possono ben dirsi in crisi al pari della Sampdoria. Il Frosinone, che è quart’ultimo con 14 punti,  è a sole cinque incollature di distanza; l’Empoli a tre, proprio l’Empoli che ha inflitto ieri l’ultimo dolore a Felipe Anderson e compagni. Al "Castellani" ha sbloccato e risolto la partita Tonelli dopo soli cinque minuti; subito il colpo-shock, la Lazio ha provato e riprovato a raddrizzare le sorti della gara, ma ogni tentativo è stato vano. Può, comunque, recriminare per due gol annullati a Klose, al 67’ e all’88’: in entrambi i casi, la valutazione dell’arbitro è sembrata tutt’altro che impeccabile. Caporetto con più di un’attenuante, in definitiva: ma occorre cambiare marcia, prima che l’ambiente esploda del tutto. E qualche avvisaglia  –più di un’avvisaglia – c’è già.

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