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Tour de France, acuto di Plaza Molina

Froome controlla e mantiene

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Si chiama Rubén Plaza Molina, viene da Ibi (Comunità Valenzana), corre per la Lampre e alla bella età di 35 anni è riuscito a vincere la sua prima tappa al Tour.

La favola della sedicesima tappa della corsa gialla transalpina è tutta sua: professionista dal 2001, Plaza si era fatto molte corse regionali  e interregionali spagnole, un po’ di Vuelta e qualche capatina ai Mondiali prima di approdare per la prima volta, nel 2010, al Tour de France. Dove arrivò 12°. Fece peggio nel 2013, quando si piazzò 47°, e peggio ancora l’anno scorso: la corsa dominata da Nibali, infatti, si concluse per lui al 91°posto.

Una parabola davvero degna di una discesa negli abissi , mai baciata, come è facile aspettarsi, da un successo di tappa: ierii, però, la sestultima fatica del Grande Anello (questo, alla lettera, significa Grande Boucle, perché alla fine il percorso del Tour finisce sempre per disegnare un ricciolo), gli ha dato modo di cancellare questo zero, qualunque possa essere il suo nuovo piazzamento finale. 

Bourg de Péage-Gap, 201 km: tutta sinfonia spagnola? Sì e no. Per vedere il nostro baldo Plaza Molina avere il guizzo della gloria  bisogna pazientare fino a 17 km dall’arrivo: è allora che l’eroe spagnolo venuto dal nulla, ma che in realtà faceva parte del maxigruppo di 24 fuggitivi che aveva tenuto il comando della corsa per un lungo tratto, lancia il suo attacco alla coppia di testa formata da Adam Hansen (Lotto Soudal) e Marco Haller (Katusha); e in quest’impresa viene seguito da  Sagan (Tinkoff), De Gendt (Lotto Soudal), Voeckler (Europcar) e altri sei, tutti ex compagni di fuga.

Nessuno, però riesce ad affiancare l’iberico: Sagan, per l’ennesima volta, ci crede, ma, per l’ennesima volta, è costretto a rimanere deluso. E pensare che, proprio negli ultimissimi chilometri, Plaza Molina stava per perdere il controllo della sua bici: quale cocente, atroce beffa sarebbe stata per il mai vincente, però poi, alla fine, la sua vittoria nonostante questo è servita a dimostrare nel modo più plastico che, semmai esiste una divinità bizzarra e capricciosa che protegge il Tour, essa ha deciso che per quest’anno la parola beffa debba essere associata unicamente al “sagace”.

Hansen e Haller, dunque,  erano due fuoriusciti da un gruppo di ventiquattro fuggitivi, poi diventati ventitré, che teneva la testa della corsa praticamente da quando mancavano 110 km all’arrivo. Il maxi-plotone procedeva diviso in due tronconi, uno di dodici l’altro di undici corridori: all’inizio era un unico nucleo di dodici, ma ad essi se ne sono rapidamente aggiunti altrettanti, salvo poi perdere Didier (Trek) strada facendo. L’orda d’oro, per una volta, ha lasciato fare: i leader di classifica si sono limitati a non perdere troppo distacco dal gruppone di avanguardia mantenendosi ad immediato ridosso di esso.

Gestire le gerarchie esistenti: missione compiuta. Tutto invariato, infatti, sul fronte della classifica generale: ancora Froome in giallo, ancora Quintana secondo e ancora Van Garderen terzo. Oggi la corsa osserva un turno di riposo. Appuntamento da domani  sulle grandi montagne, capitolo decisivo. E conclusivo. 

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