Sul Circuito di Hungaroring, oggi, è accaduto davvero di tutto.
La gara più emozionante, più bella, più sudata della stagione.
Una gara in cui il primo posto è a firma di Dani Ricciardo, su RedBull.
Seconda vittoria stagionale per il pilota venticinquenne, che calca il podio, che si prende lo scalino più alto a tre giri dalla conclusione.
Nulla da togliere al pilota australiano di origini italiane, ma il capolavoro di oggi è interamente appannaggio del pilota Ferrari Fernando Alonso, che chiude secondo e che ha fatto una gara memorabile, forse seconda solo a Barcellona 2013.
Il ferrarista è stato leader indiscusso della gara, ha compiuto sorpassi memorabili (su Rosberg e su Vettel, in primis), ha pilotato il tutto con un’ottima strategia di due sole soste ed è arrivato alla conclusione con gomma morbida che aveva alle spalle ben venticinque giri.
Un’impresa impossibile, un miracolo riuscito, un quadro dipinto a pennellate rosse valide, acriliche, intense.
Se si vincessero i gran premi in base ai voti in pagella, oggi Alonso sarebbe da dieci, davanti a tutti.
Segnali positivi per la scuderia di Maranello e personalissimi record per il pilota spagnolo.
Bene così.
Ma il terzo posto di Lewis Hamilton urla anch’esso capolavoro: il pilota britannico partiva dai box e ha compiuto una rimonta di venti posizioni.
Tenace, duro, determinato: un vero fuoriclasse, forse non apprezzato come si deve dalla scuderia Mercedes.
Già , perché la scuderia tifa palesemente Rosberg: addirittura ha dato ordine ad Hamilton, a venti giri dalla conclusione, di far passare Nico Rosberg, il quale, poi, beffa delle beffe, è rientrato ai box per la terza sosta.
Ha fatto bene Lewis a tentare il tutto per tutto, a continuare a casco alto la gara, tenendosi, per altro dietro Nico Rosberg, che chiude quarto, dopo essere partito in Pole Position.
Quinto posto per Felipe Massa, costante e tenace, nonostante la poca affidabilità della propria Williams, che con le gomme morbide inizialmente faticava a trovare il grip.
Sesto posto per uno straordinario Kimi Raikkonen, che per la prima volta in stagione ha osato, azzardato, dimostrato di valere.
Forse questa è la controprova che le strategie Ferrari spesso penalizzano piloti che saprebbero, invece, cavarsela bene autonomamente e senza ordini di scuderia (ieri, infatti, Raikkonen non è uscito per provare l’ultimo giro in Q1 proprio per ordini di scuderia).
Settimo, amaro posto per lo stesso Sebastian Vettel che partiva secondo e prometteva la luna e ottavo posto per il pilota della Williams Bottas.
Un Gran Premio d’Ungheria come non se ne vedeva dal 2006: colorato, composito, superbo, bagnato qua e là da gocce di pioggia.
Un Gran Premio sublime e squisito, vissuto al limite, tutto d’un fiato, all’ombra delle polverose curve impossibili e di quel lungo rettilineo illusorio, in cui sorpassare è stato il lusso di pochi.