Tutto iniziò con i transistor, piccoli elementi filamentosi di silicio capaci di racchiudere il cuore funzionale di apparecchiature complesse, sofisticate.
Ma eravamo ancora nella fase in cui a macchine che richiedevano una grossa quantità di spazio si cercava di accoppiare un “motore” o un “cervello” di dimensioni ridottissime. Poi arrivò la fase successiva: a componenti interne sempre più piccole dovevano corrispondere hardware di dimensioni
praticamente pari. E nacquero le chiavette usb, gli iPod, i mini iPod e tutto quanto nell’immaginifico mondo dei giocattoli, sempre in anticipo sui tempi, aveva la taglia delle
micro machines. Questa fase è iniziata, e non certo da oggi, anche
nella tecnologia
chirurgica. Pioniere in questo senso furono le sonde.
Il primo peacemaker, che letteralmente significa “pacificatore”, anche se il termine viene ufficialmente tradotto con “segna-ritmo” o “stimolatore cardiaco a batterie”, fu impiantato negli Stati Uniti all’inizio degli anni ‘60. Aveva le dimensioni standard che ha tutt’ora, quelle di un roller per colla medio-grande di 7x6x1 cm e del peso di 21 grammi.
Quello che è stato impiantato oggi al Policlinico di Bari, il Micra Tps, pesa solo 2 grammi, occupa uno spazio di soli 2 centimetri (è poco più grande di una pillola) e soprattutto non ha elettrocateteri: la sua batteria dura dai sette ai quattordici anni. Una nano-eccellenza, tutta italiana, nel campo della tecno-cardiochirurgia.
Per effettuare l’intervento che ha portato all’impianto del micro-gioiello, l’equipe pugliese guidata dal prof. Stefano Favale, direttore della Cardiologia universitaria, ha impiegato tre minuti soltanto. Tempo-record, che le equipe di altri dodici ospedali coinvolti in questo progetto di sperimentazione, in giro per l’Italia (parliamo di strutture di Bologna, Brescia, Milano, Roma, Pisa, Torino, Udine e Cotignola in provincia di Ravenna), sono ora chiamate ad eguagliare.