Ieri mattina, il governo, con alcuni emendamenti presentati dal ministro Marianna Madia in commissione Affari costituzionali al Senato, ha fatto una serie di marce indietro: niente pensionamento anticipato a settembre per i 4.000 docenti e personale della scuola che avevano raggiunto "quota 96" nell’agosto del 2012 intrappolati dalla legge Fornero; niente eliminazione delle penalizzazioni per i lavoratori con oltre 41 anni di contributi che vorrebbero smettere di lavorare prima dei 62 anni; niente pensionamento d’ufficio per i professori universitari e i primari, che, invece, vogliono restare al loro posto fino a 70 anni. Infine, un altro emendamento presentato dal governo e approvato elimina alcuni benefici sul calcolo della pensione per gli invalidi vittime del terrorismo.
Vane, dunque, le proteste dei sindacati e inutili i tentativi di mediazioni dei politici (di opposizione, ma anche di maggioranza): ha vinto la forza dei numeri, ha vinto il no dei tecnici della Ragioneria generale dello Stato, che avevano bocciato le norme per coperture finanziarie insufficienti. Poco importa che la Camera le aveva approvate con la richiesta di fiducia da parte dello stesso governo. Vista la situazione precaria dei conti pubblici, Palazzo Chigi ha capitolato, tenendo conto anche dell'aumento delle risorse occorrenti.
Tuttavia, la questione ha scatenato un putiferio con mal di pancia diffusi anche all’interno dello stesso Pd che, almeno per quanto riguarda la vicenda della "quota 96" dei docenti, Renzi in serata ha fatto trapelare di essere pronto a rimediare: «A fine agosto arriverà un nuovo provvedimento sulla scuola, che risolverà l’annosa questione degli insegnanti rimasti intrappolati nelle maglie della riforma Fornero e riguarderà una platea ben più ampia dei 4.000 individuati finora. Aver tolto, ora, la deroga dal decreto sulla pubblica amministrazione - chiarisce il premier - è stato giusto, perché non c’entrava nulla con la ratio generale del provvedimento».