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Il cinema degli altri: lo sguardo di Francesco Falaschi

Appuntamento estivo con il regista toscano

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Raccontare una storia, dirigerla attraverso una videocamera è cosa tutt'altro che semplice in questo momento popolato di titoli roboanti, spettacolarizzazioni attraverso effetti speciali e mondi ricostruiti al computer, più che mai quando ti affidi allo sguardo, all'espressione di un attore e magari al tempo, limitato e stretto, di un corto.

Un'impresa perfettamente riuscita a Francesco Falaschi, che proprio grazie ai suoi corti ha conquistato il plauso del pubblico e della critica regalando emozioni, come accaduto all'incontro del 17 agosto in Toscana nel chiostro medievale di Suvereto (LI), durante il quale è stato proiettato “Quasi fratelli”, corto che gli è valso il premio David di Donatello nel 1999.

Presentato dalla giornalista Francesca Barone Falaschi ci proietta nel suo lavoro, quel cinema che non considera soltanto suo, bensì degli altri: dagli attori, sempre intensi, le comparse, gli addetti ai lavori o semplicemente la gente intorno al set cinematografico, che possono mutare, nel bene e nel male, una pellicola come egli racconta.
Ma il regista toscano non tralascia i problemi, non pochi, che affliggono il cinema nazionale, che vede nell'autocensura degli sceneggiatori una vera e propria castrazione cinematografica, legata all'eventuale successo che il film legato alla sceneggiatura potrà o meno avere: un problema che dovrebbe essere dei produttori e che invece in Italia diventa degli sceneggiatori stessi – afferma.

Un problema, quello del cinema che guarda all'incasso più che al contorno culturale, molto sentito dal regista che però ripone fiducia nella Tax credit e negli sponsor, che possono garantire nuova linfa al mondo di celluloide, grazie a pubblicità e sgravi fiscali, ma che pone l'accento anche sulla carenza della distribuzione, vera e propria spada di Damocle sulla cinematografia italiana, dove senza il nome trainante la pellicola soffre la difficoltà del farsi conoscere, di essere materialmente vista, con tutte le conseguenze – racconta il regista.

Falaschi, che da tempo si divide tra la capitale e la sua natia Grosseto per lavoro, che al momento lo vede all'opera su un progetto nascosto insieme allo scrittore Sacha Naspini e a un lungometraggio in cantiere con Filippo Bologna, ha sempre prediletto la sua terra, la Maremma toscana,  per i suoi set cinematografici perché – ci dice -  anche in un film si racconta ciò che si conosce. Una  Maremma che da tempo soffre la crisi in modo critico, considerata la zona che più ne risente in Toscana e che vede decine di migliaia di inoccupati. Alla domanda su un suo eventuale lavoro proprio sulla crisi occupazionale maremmana Falaschi risponde che il cinema deve narrare, non fare analisi – cosa che a suo parere si presta ad un documentario, anche se non esclude niente in futuro, dato che uno sguardo alla crisi e alle difficoltà lavorative grossetane il regista già lo ha dato due anni fa con Lost in Maremma, dove racconta l'esperienza di sei lavoratori stranieri che hanno scelto questa terra come residenza.

Il Cinema italiano, un mondo lavorativo strozzato dalle megaproduzioni internazionali, una televisione sempre più invadente e dozzinale ma che vede in Francesco Falaschi uno dei suoi artigiani più validi e operosi grazie anche alla sua scuola di Cinema, vera e propria fucina di talenti e creatività per l'oggi e il domani della celluloide.

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