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Pollicino: “La fiction? Il romanzo popolare dei nostri tempi”

Colloquio con la sceneggiatrice e docente Luiss

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Arco di trasformazione del personaggio: il suo processo di evoluzione-involuzione, che può portarlo ad essere buono da cattivo qual era o viceversa. Viaggio dell’eroe: il cammino del protagonista verso il suo destino di grandezza (o comunque risolutore). E poi il climax emotivo-sentimentale. 

Scrivere una sceneggiatura è qualcosa di estremamente più tecnico che scrivere un romanzo? Sembrerebbe di sì: dopotutto in un romanzo si può divagare, prenderla in lungo e poi tornare al punto di partenza, abbandonare uno o più personaggi per la loro strada e poi vederli rispuntare da chissà dove e chissà quando.

Invece nella sceneggiatura, per quanto possa avere uno sviluppo letterariamente ampio, la libertà è minore: dato quel determinato numero di personaggi e le connessioni che intercorrono tra loro, bisogna approfondire i nessi, innervarli, giustificarli psicologicamente e dinamicamente, renderli credibili. Limare, sfrondare, più che fare digressioni.

Tuttavia, nonostante queste differenze di “respiro”, la sceneggiatura, quando è ancora allo stadio di soggetto, andrebbe scritta proprio come un romanzo (un romanzo concentrato, si potrebbe dir meglio). Spesso ce ne dimentichiamo: abituati come siamo ad associare alla parola “sceneggiatura” solo la sua parte drammaturgica, perdiamo di vista il cuore. Eppure basterebbe considerare come la sceneggiatura si presti da sempre, da quando si è imposta come forma di scrittura per il cinema e la televisione, ad adattarsi al romanzo, e come a sua volta generi dei veri romanzi-spettacolo.

Nei confronti della letteratura, a dire la verità, a dispetto del suo essere analitica, la sceneggiatura tende sempre a semplificare: lo si è visto bene sin dagli albori della televisione (ma il discorso vale anche per il cinema), quando sceneggiature di solido mestiere riuscirono a rendere accessibili ad un pubblico vasto capolavori letterari anche complessi.

In seguito, abbandonati gli scaffali dei grandi e dei grandissimi Autori, allargatasi l’offerta della fiction, gli sceneggiatori televisivi sembrano aver trovato la loro dimensione ideale nella “prosecuzione” su piccolo schermo di un filone letterario minore quanto popolarissimo, il romanzo d’appendice. Il feuilleton, che tenne a battesimo il genio di Emile Zola, è il padre della serialità televisiva? E Carolina Invernizio è stata la profetessa di soap e telenovelas?

Amelia Pollicino, sceneggiatrice d’esperienza nell’ambito della fiction televisiva (successi Rai e Mediaset come Incantesimo, I Cesaroni e Centovetrine portano anche la sua firma), nonché docente assai scrupolosa riguardo all’aspetto teorico dell’ars sceneggiandi, nel prodotto seriale questa parentela (questa filiazione) effettivamente la individua. Del resto, si sa, alla fine il romanzo è dentro di noi, nella nostra stessa vita; e se poi la nostra vita è anche la vita di tutti, di romanzo ce n’è anche di più.  

Dott. Pollicino, in un suo recente corso sulla medio-breve serialità alla Luiss lei ha proposto come modelli ai suoi studenti due film in  particolare: "Il verdetto" (1982) con Paul Newman e "Casablanca" (1942) di Michael Curtiz. In particolare il primo esemplifica bene, a suo parere, l'arco (o la parabola) di trasformazione del personaggio, il secondo la sequenza dei bit emotivi in una scena. Ma in effetti  l'arco di trasformazione e il crescendo emotivo nello sviluppo di una narrazione sono più "urgenti"  in un prodotto di breve-media serialità che in uno di lunga o di lunghissima serialità?

No. Effettivamente l'arco di trasformazione dei personaggi e la progressione emotiva della storia sono necessari tanto nelle serie lunghe che nelle miniserie e nei tv movie: cambiano, magari, i tempi in cui questi due decisivi elementi entrano in azione o vanno “a maturazione. 

Lei è solita dire che ogni scena deve corrispondere ad una svolta: in base alla struttura canonica del dramma, diviso in tre atti, ogni svolta, che sia negativa o positiva, alla fine del percorso deve giungere a determinare un finale in sé concluso. Eppure esistono anche altre concezioni drammaturgiche non-aristoteliche che teorizzano finali aperti o non-conclusi: in questo caso cosa potrebbe cambiare, secondo lei, nella costruzione della sceneggiatura? 

Dal mio punto di vista, un finale aperto non contraddice la struttura in tre atti. Bisogna comunque giungere a una conclusione della vicenda narrata. Poi è possibile lasciare aperte eventuali nuove strade e direzioni. E tuttavia la storia deve sempre essere strutturata comprendendo un finale, pena il fallimento e l'inefficacia della storia stessa.

La serialità medio-breve  modello mini-fiction (Rai o Mediaset): quali i limiti e i pregi?

Le biografie, o le storie che raccontano una specifica vicenda, trovano la loro misura in un film o in una miniserie. Le storie corali, che prevedono molte storylines e più personaggi contestualizzati un un'arena precisa, etc... si sviluppano nella serialità più o meno lunga. Non esiste una scala di valori. Potremmo dire che i film e le miniserie somigliano di più al racconto letterario, mentre la lunga serialità somiglia al romanzo. Possiamo senz'altro dire che le serie sono il nuovo romanzo popolare. O almeno ne hanno sostituito le funzioni espressive e sociali.  

Sceneggiare per la televisione e sceneggiare per il web: potrebbe indicarci le differenze e le similitudini tra i due mondi operativi?

Non ci sono differenze. Bisogna scrivere bene in entrambi i casi. La grammatica web prevede che le storie riescano e trovare spazio in segmenti più brevi, ma i personaggi devono comunque avere spessore, direzione e prospettiva, così come le storie devono essere vere storie e non solo pillole.

Ci presenta brevemente l'ultimo prodotto griffato Luiss/Pollicino? Alla domanda, da ex studente della scuola di Scrittura, allego volentieri i complimenti per il lavoro svolto da lei e dai suoi allievi.

21 gradi è una webseries di genere black comedy. Due personaggi ovviamente agli antipodi, immaginano un piano per cambiare le loro vite disastrate. Evidentemente si tratta di un piano che non può che fallire. Ci si diverte, gli attori sono molto bravi, la scrittura è stata molto accurata e ha previsto moltissime ore di brain storming, proprio perché abbiamo dovuto comprimere una vicenda complessa all'interno di cinque pezzi di circa cinque minuti ciascuno. Le cinque puntate rappresentano "l'episodio pilota.

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