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Cina, il Bce style della Banca Centrale

Ancora un intervento d’urgenza

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Urge una riflessione sul delicato momento cinese. Cose così, di questi tempi, sarebbe più facile vederle nell’Eurozona.

La Banca Centrale costretta a intervenire da un angolo all’altro dell’Unione  per calafatare le falle nei punti più critici e oliare gli anelli più deboli della catena. Ma in realtà succede anche alle latitudini protagoniste del miracolo economico del nuovo millennio.

Succede in Cina, per intenderci. E la Banca Centrale di cui parliamo è proprio quella che fa i conti in mandarino, la Banca Popolare Cinese, chiamata addirittura a fare il bis di operazioni di emergenza, nel giro di pochi giorni: dopo i trenta miliardi di yuan di inizio settimana, altri 150 miliardi  sono stati sistemati davanti al capezzale del malato serio, il sistema bancario nazionale. Una sola missione: ridare ossigeno agli istituti di credito e soprattutto alle borse, in stato evidentemente  comatoso, dopo cinque sedute consecutive in picchiata.     

Missione compiuta, comunque: la manovra palliativa ha avuto gli effetti sperati nel giro di poche ore. Infatti dopo alcune difficoltà registratesi in apertura, che già facevano temere una nuova giornata in linea col trend negativo delle ultime settimane, a metà delle sessioni si poteva finalmente registrare una ripresa di tutte le piazze d’affari cinesi. Almeno per un giorno, tribolazioni di fine Solleone alle spalle.

Bene la Borsa di  Shanghai, che  ha riguadagnato una quota oltre i tremila punti e, dopo aver fatto registrare nei primi scambi un guadagno di oltre il 3%, ha continuato a procedere forte di un attivo del +1,69%. Ma i veri botti sono arrivati in cauda: al momento di chiudere i tabelloi, si era nuovamente balxzati ad un galvaizzantissimo +5,4% .Altrettanto bene anche le altre due cattedrali della finanza con gli occhi a mandorla,  la Borsa di Hong Kong e quella di Shenzhen,in grado di mantenere un +2% netto di attivo e soprattutto di viaggiare su punteggi a dir poco esaltanti: 1735 punti  quella di Shenzhen, addirittura 21.604 quella della città-regione a statuto speciale.

Tutto è bene quel che riparte bene giovandosi dell’effetto placebo,  ma adesso anche Pechino sa che cosa prova Francoforte quando l’unica soluzione possibile per salvare l’economia di uno Stato è quella di mettere soldi (e tanti) di tasca propria. E' un dato di fatto, d'altronde, che nel mse di luglio quasi tutte le principali aziende del Paese, pubbliche e industriali, hanno subito un calo negli utili del 2,9%.

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