Definirlo kamikaze sarebbe improprio. Piuttosto un Sansone o un sansoniano, desideroso di coinvolgere nella sua foga suicida i malcapitati “filistei” suoi passeggeri e colleghi.
Di queste cose si è già parlato. Si è parlato della pista psichica: un gran brutto cataclisma la depressione, soprattutto quando al depresso è affidata la responsabilità di un buon numero di persone. Eppure, al di là delle inoppugnabili prove mediche, il male oscuro potrebbe non essere stato il vero movente dell’azione sciagurata di Andreas Günter Lubitz, il co-pilota dell’Airbus A320-200 della Germanwings, con cui, il 24 marzo scorso, stava effettuando il volo di linea 9525 da Barcellona a Düsseldorf.
Per spiegare il perché della folle impresa di Andreas Günter Lubitz, ventottenne aviatore originario della Renania, forse bisogna andare oltre la Bibbia; è necessario arrivare alla storia greca. Ad un certo punto del viaggio, all’altezza di Prads-Haute-Bléone, località francese, Lubitz ha deciso di far colare a picco il suo apparecchio. Voleva farla finita e ha trascinato nel suo destino un intero aereo. Ma la ragione vera potrebbe essere questa: voleva fare qualcosa di grande, qualcosa per cui sarebbe stato ricordato nei secoli a venire. Avvertiva, però, la distanza siderale tra la sua vita, mediocre, e il suo lavoro, frustrante, e le ambizioni che era capace di coltivare.
Sapeva di non avere più molte opportunità per poter immortalare il suo nome, e ha agito da disperato. Come fece, qualche secolo prima di lui (precisamente il III a.C.), Erostrato, il pastore di Efeso che, angosciato dall’idea che non sarebbe mai entrato nei libri di storia, incendiò la meraviglia della sua città (e una delle sette del mondo antico), il tempio di Artemide opera di Chersifrone e Metagene.
“Un giorno farò qualcosa che cambierà completamente il sistema, e tutti si ricorderanno di me”: così parlò Lubitz alla sua ex fidanzata, qualche mese prima della tragedia, e così ella ha riportato alla Bild. In modo simile, con molta probabilità, avrà parlato Erostrato con qualche suo conoscente, prima di prendere il tizzone in mano.
Ė andata male a entrambi: uno, Lubitz, almeno la morte se l’è cercata, l’altro, Erostrato, venne immediatamente condannato a morte nonché alla damnatio memoriae dai suoi concittadini. Ma, nonostante tutto, ha vinto lui: il suo nome, infatti, non è stato completamente dimenticato, e, seppure non si possa equiparare al livello dei grandi statisti e condottieri, per i cultori più profondi dell’antichità Erostrato è qualcuno (per gli altri è un carneade, invece, ma essere carneadi è un’ingiustizia per Carneade, non certo per Erostrato). Di Lubitz, invece, cosa rimarrà? Aspettiamo la risposta dagli Strabone e dagli Eliano dei nostri tempi.

