Ansar Dine.
Si tratta della milizia jihadista, affiliata all’Isis, operante in Mali e in tutta l’Africa nordoccidentale. Condivide il primo elemento della sua denominazione con la più nota Ansar al-Islam, che combatte in Iraq e in Siria, dove, tra l’altro, fu esecutrice del rapimento delle attiviste italiane Ramelli e Marzullo. Fondata, e guidata, da un Tuareg, Iyag ag Ghali, Ansar Dine sembra aver fatto della lotta ai Tuareg, tribù nomade sahariana di stirpe berbera, uno dei suoi capisaldi.
Almeno in Mali: qui, infatti, nel weekend di Natale combattenti dell’organizzazione ne hanno ucciso quindici in due attacchi condotti a poche ore di distanza l’uno dall’altro, nella regione di Kidal. Lo hanno reso noto i miliziani stessi, attraverso i loro canali di comunicazione web.
In particolare, undici Tuareg sono stati uccisi nel giorno che per i cristiani corrispondente alla vigilia di Natale, e altri quattro quello successivo. Dal 2012 e praticamente fino alla scorsa estate jihadisti e indigeni sahariani formavano quasi un fronte unico contro il governo di Bamako: i primi volevano, com’è naturale, il crollo delle istituzioni e l’instaurazione di un nuovo Stato basato sulla Sharia; i secondi uno Stato tuareg indipendente.
A giugno di quest’anno, però, i berberi hanno deposto temporaneamente le armi firmando un accordo col premier Modibo Keita. In conseguenza di ciò, gli uomini di Ansar Dine non hanno perso tempo a gridare al tradimento e a trasformare i Tuareg da quasi alleati a bersagli.

