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La nave Rainbow Warrior approda in Italia per dire NO ai fossili

Greenpeace in prima linea

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La Rainbow Warrior, nave simbolo di Greenpeace, arriva oggi 10 ottobre in Italia per continuare il tour “Non è un Paese per fossili”, iniziato durante la scorsa estate per sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli delle fonti fossili. Le prossime tappe si concentreranno in particolare sulla minaccia che incombe sui nostri mari, e che – nonostante il nome accattivante che il governo Renzi le ha dato – lo “Sblocca Italia” – rischia di tradursi in uno “Sblocca Trivelle”.  Il tour della Rainbow Warrior toccherà le coste della Sicilia, una delle aree maggiormente interessate da progetti di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare. Greenpeace sarà a Licata da venerdì 10 a domenica 12 per incontrare amministrazioni e comitati locali; a Siracusa dal 17 al 19 per incontrare i parlamentari siciliani e denunciare le ultime richieste di ricerca petrolifera nel Canale di Sicilia. Il 22 ottobre sarà a Napoli, dove si concluderà il tour, per lanciare un messaggio a tutta l'Europa: è ora di invertire marcia e puntare sulle rinnovabili.

“Non potevamo ammainare le vele proprio ora che si va preparando il peggior attacco mai concepito ai danni del nostro mare” – dichiara Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia. “Il decreto ‘Sblocca Italia’ indebolisce le valutazioni d’impatto ambientale, emarginando  i governi locali, che avranno ben poca voce in capitolo rispetto a progetti che impatteranno pesantemente sui loro territori”.
Greenpeace ricorda che secondo le valutazioni del ministero dello Sviluppo economico ci sarebbero nei nostri fondali marini circa 10 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe. Stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 8 settimane. Già oggi le aree richieste o già interessate dalle attività di ricerca di petrolio si estendono per circa 30 mila chilometri quadrati di aree marine, cinquemila in più rispetto allo scorso anno. Queste attività insistono sul Mediterraneo, dove si concentra più del 25 per cento di tutto il traffico petrolifero marittimo mondiale, già responsabile di un inquinamento da idrocarburi che non ha paragoni al mondo. Il Mediterraneo rappresenta meno dell'un per cento dei mari del Pianeta, ma conserva circa il 10 per cento della diversità biologica nota in tutti i mari; essendo un mare semi chiuso ci vuole circa un secolo per il completo turn over delle sue acque. Un disastro petrolifero avrebbe conseguenze catastrofiche.

Secondo Greenpeace la deregulation che il governo nazionale sta promuovendo riguardo l’estrazione di idrocarburi in mare è in contrasto con due direttive europee e rischia di esporre l’Italia a costose procedure d’infrazione. Inoltre si tratta di una misura insensata da un punto di vista energetico, che creerebbe ben poca occupazione e scarsissimo gettito fiscale e sarebbe in aperto conflitto con gli impegni presi dallo stesso Renzi per decarbonizzare presto la nostra economia. L’unico modo per farlo è abbandonare le fossili, non cercare nuove, illusorie e rischiose frontiere d’estrazione di petrolio e gas.
Greenpeace ha già raccolto circa 70 mila firme contro le fonti fossili e a favore di un futuro di rinnovabili ed efficienza.
 

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