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Morte, rinascita, nuovo inizio. Cosa ricorderemo?

Giugno 1962. Il Dopostoria di Pasolini.

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Pasolini è stato accusato di essere un nostalgico del passato, un romantico, un populista e addirittura un reazionario: queste accuse gli sono state rivolte soprattutto da parte di intellettuali, anche di sinistra, e sono continuate nel tempo. Ma quale è il rapporto di Pasolini con la storia?

“Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.”

Questi sono due versi della poesia “10 giugno 1962” di Pasolini, nella quale egli esprime il disorientamento di uomo che ha attraversato due mondi incompatibili: è nato e cresciuto nell’Italia contadina e ha poi vissuto nell’Italia del boom economico, che ha distrutto il mondo precedente, creando un “Dopostoria”, una nuova preistoria, in cui l’”uso” e la “liturgia” del mondo passato sono stati estinti. Pasolini descrive la fine di un mondo, una frattura, che ha creato mostri, nati dalle viscere di una tradizione cancellata, che ha concepito feti adulti. Feto adulto, perché è nato nell’altro mondo, ma “più moderno di ogni moderno”, perché, avendo vissuto il passaggio, conosce anche un’altra Storia e sa che quella presente non è l’unica modernità possibile. Il richiamo al passato non è frutto di un atteggiamento reazionario, ma ha la funzione di critica del presente: ci mostra un altro punto di vista, diverso dalla visione lineare e progressiva della storia. Il passato può farci percepire il presente come non necessario, poiché ci mostra altre possibilità di sviluppo, altre possibilità di collettività umana. Il passato non viene mai completamente superato, ma è nella stratificazione del presente.
Perché questa tesi di Pasolini può apparire reazionaria? Può accadere all’interno di un’etica del progresso un po’ cieca. Ma se si pensa anche al nostro linguaggio, in particolare al tempo verbale del passato prossimo ( ad esempio “avere capito”), questo non è lontano dalla visione del passato di Pasolini. L’ausiliare “avere” indica la connessione col presente e il participio “capito” il risultato di un processo passato. Nella storia del latino, questo sintagma verbale si è sviluppato per l’esigenza di porre nel presente il risultato di un’azione compiuta. Anche la nostra lingua mostra la necessità di esprimere il legame fra presente e passato, quindi non vi è motivo di accusare Pasolini di essere reazionario, quando esprime questa stessa necessità.

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