Ieri parlavamo del bis di Modolo, oggi dobbiamo parlare di quello del belga Philippe Gilbert, della Bmc. Evidentemente nel ciclismo esistono pochi Paganini, o non ne esistono per niente, ed anzi, specialmente per i corridori velocisti, è una gioia ripetersi al traguardo.
Non c’è neanche bisogno di dirlo: uno come Gilbert, se non scatta, vuol dire che ha programmato di rimanere indietro, e sarà per un’altra volta. Se scatta, invece, non ce n’è per nessuno, e l’alloro di giornata spetta a lui. A Verbania come sul traguardo del monte Berico, una folgore improvvisa, accecante, simile a un castigo di Dio: uno “scalatorino”, ecco cos’è l’ex campione del mondo. Passo lungo da volata in mischia, certo, ma anche scattista da involata in solitaria, salite incluse. Finisseur, lo chiamano nel gergo di chi si intende di questo sport: un cesellatore della toccata e fuga, a pochi chilometri dal traguardo finale.
Era lui l’uomo solo sulla linea d’arrivo della Melide-Verbania, diciottesima tappa del Giro d’Italia, centosettanta chilometri e salitone a volontà. La sua progressione da paura è iniziata a partire dalla discesa del monte Ologno. Dietro di lui Bongiorno della Bardiani, che, pur non essendo Mike, ha giocato al Rischiatutto e ha fatto bene: una piazza d’onore alle spalle del Flash Gordon belga vale doppio, forse triplo.
Se non altro perché sia lui che Gilbert erano fuggitivi della prima ora, insieme ad altri dieci uomini. Parliamo di Nocentini della AG2R, Moinard della Bmc, De La Cruz della Etixx, Chavanel della Iam, Weening della Orica, Busato della Southaest, Villella della Garmin, Haga dell’Alpecin, Belkov della Katusha e Siutsou della Sky. Da questo stesso gruppo è venuto fuori anche il terzo sul podio, e parliamo di Chavanel, segno che, per una volta, gli “avanguardisti” si sono messi in testa di imporre la loro leadership sulla corsa dall’inizio e fino in fondo.
Ovviamente, non tutta la sporca dozzina ha retto usque ad finem: negli ultimi chilometri il plotone si era ridotto a Gilbert, Bongiorno, Chavanel, Siutsou, De La Cruz e Moinard. Un’ulteriore scrematura sembrava si fosse consumata in prossimità del Gran Premio della Montagna del monte Ologno: a quel punto, infatti, era rimasto solo un quartetto, Bongiorno (che è transitato per primo al gpm), Siutsou, Monard e De La Cruz. Gilbert e Chavanel, però, non è che fossero rimasti tagliati fuori dai giochi, si erano solo un po’ attardati. Il belga, anzi, ha approfittato di quel rallentamento per ricaricarsi e, ripreso lo slancio, si è buttato in picchiata sugli uomini che credevano di averlo sorpassato, ponendosi, così, da allora e per i restanti chilometri, in testa alla corsa.
Travolti dal ciclone Gilbert, i quattro si sono fatti poi raggiungere anche dal francese e dagli altri ex fuggitivi attardati; nella volata a undici, alla fine, si sono imposti Bongiorno, che ha tenuto duro, e proprio il risorto Chavanel. Ma in pratica tutte le posizioni dalla 1 alla 10 sono state occupate da chi era andato in fuga all’inizio della gara.
Qualcuno potrebbe credere che Alberto Contador, nel corso della tappa, ha avuto problemi con la catena della sua bici, e nonostante questo, è riuscito a guadagnare un ulteriore margine di vantaggio sui suoi competitori Mikel Landa e Fabio Aru, più precisamente 1’13”? Se la cosa gli sembra inverosimile non ha capito che razza di campione è lo spagnolo: certo, però, se sui pedali lui ha il piede magico, i tecnici della sua squadra, la Tinkoff-Saxo, per parte loro hanno la spinta magica: e con un team così attorno, un campione non può che esserlo ancora di più. Non c’è catena da cui Contador, con la forza di uno Zampanò del pedale, non possa liberarsi; il resto, nello specifico di questa giornata, lo ha fatto un inedito asse con Ryder Hesjedal.

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