Partecipa a Notizie Nazionali

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

Nuova epica calcistica: il racconto delle realtà emergenti

Intervista al team di “Calcio Islandese e Faroese”, sito specializzato sullo spirito sportivo del grande Nord

Condividi su:

Con la diffusione massiccia del blogging, anche il modo di parlare di sport è cambiato radicalmente. Tralasciando tutto quello che si può categorizzare come “chiacchiere da bar”, ben visibili nei commenti delle pagine ufficiali delle squadre o in quelle satiriche, negli ultimi anni sono emersi dei siti sportivi di nuova generazione, che, prendendo le mosse dal modo giornalistico tradizionale di parlare di calcio, riescono ad inserire anche digressioni “letterarie” all’interno dell’analisi tecnico-tattica, integrandola con racconti di esperienze e ricordi personali degli autori. In questo ambito, siti come “L’Ultimo Uomo” e “Rivista Undici” hanno assunto una notevole rilevanza, affiancando i quotidiani sportivi più istituzionali con letture alternative e raramente banali.

Un altro modo di scrivere di calcio che si sta affermando è quello dei blog specializzati su particolari panorami del calcio globale, dove gruppi di appassionati, spinti a volte anche dalla loro effettiva presenza nello scenario di cui narrano per motivi extra-sportivi, raccontano gli sviluppi di nuove realtà ed i differenti modi di vivere lo sport e tutto ciò che vi gira intorno.

Oggi ci concentreremo su “Calcio Islandese e Faroese”, blog dedicato al modo di praticare lo sport nelle due piccole nazioni scandinave, che riporta nel dettaglio i risultati delle principali competizioni nazionali dei due paesi e degli incontri internazionali delle loro rappresentative, retrospettive sulla loro cultura sportiva e non, nonché interviste (in inglese ed italiano) a calciatori ed allenatori locali che stanno portando avanti la crescita di un grande movimento sportivo, e che ha registrato una crescita interessante negli ultimi mesi soprattutto per merito dell’exploit dell’Islanda durante l’ultimo Europeo, capace di resistere al Portogallo di Cristiano Ronaldo e Pepe (poi vincitore del torneo) e di eliminare agli ottavi di finale l’Inghilterra senza ricorrere a tempi supplementari e rigori. Gli autori del sito, Francesco Cositore, Fabio Quartino, Mattia Giodice, Giuseppe Emanuele Frisone e Cristiano Romanelli, si sono sottoposti con grande entusiasmo alla nostra intervista collettiva sul loro lavoro.

NN: La domanda principale non può che essere: come siete arrivati all’Islanda ed alle Isole Far Oer, sia dal punto di vista personale che da quello sportivo?

CIeF: Il tutto nasce da due grandi passioni che condividiamo: è la prima è l’amore per queste terre lontane, la loro storia, la loro cultura mentre la seconda, ovviamente, è l’amore per il calcio. Dall’unione di questi due fattori nasce il blog “Calcio islandese e faroese”.

NN: A che tipo di pubblico si rivolge un sito come il vostro, considerando che le maggiori attenzioni si concentrano intorno alle competizioni professionistiche (molto spesso tali fino alla quarta divisione) dei paesi più importanti, laddove invece il campionato in Islanda è professionistico solo per il primo livello, mentre nelle Far Oer anche la stessa federazione è dilettantistica?

CIeF: In realtà neanche la massima serie islandese è professionistica; soltanto una squadra, l’FH (attuale detentore del titolo di campione d’Islanda), sta provando a divenire un club professionistico a tutti gli effetti. Per quanto riguarda il tipo di pubblico cui facciamo riferimento, non abbiamo nessun target di riferimento preciso; cerchiamo di raccontare e far appassionare chiunque a questi movimenti calcistici. Il modo di vivere il football in Islanda e nelle Far Oer è molto diverso da quello cui siamo abituati in Italia o negli altri paesi calcisticamente più forti. Tutto è vissuto in maniera più semplice e genuina.

NN: Comparando due scenari distanti nel tempo, dieci anni fa l’unico calciatore globalmente riconosciuto proveniente da questa parte di Scandinavia era Eidur Gudjonssen (ex Chelsea e Barcellona), mentre invece guardando la rosa dell’Islanda qualificatasi all’Europeo 2016 si trovano diversi atleti militanti in campionati europei di vertice, e nessuno dei 23 convocati a giocare in quello nazionale. Questo è un arricchimento od un impoverimento per il movimento calcistico islandese?

CIeF: Personalmente penso che questa “emigrazione” di giocatori islandesi verso campionati più forti sia allo stesso tempo un arricchimento ed un impoverimento del movimento calcistico. Molti calciatori islandesi lasciano la loro terra da giovanissimi, entrando a far parte dei settori giovanili di club europei importantissimi. Da un lato questo è un fatto molto positivo perché permette ai calcatori di crescere in strutture all’avanguardia, di confrontarsi con un calcio tecnicamente più forte e di migliorare sotto tutti i punti di vista, sia tecnici che tattici. E i risultati si sono visti agli europei in Francia dove la nazionale, composta sostanzialmente dal gruppo che aveva partecipato agli europei Under 21 del 2011, ha stupito tutto il continente e non solo.
Il lato negativo però è un impoverimento tecnico del massimo campionato locale, nel quale, molto spesso, i migliori giocatori non hanno mai neanche giocato avendo lasciato l’Islanda in giovanissima età. Questo comporta una difficoltà per i club che, nelle coppe europee, sono ancora lontanissimi dai risultati ottenuti dalla nazionale.

NN: Riallacciandoci a quanto appena chiesto, quali innovazioni hanno consentito all’Islanda di diventare in pochi anni terra di conquista di giovani calciatori per i vivai di Premier, Bundesliga e Eredivisie? A livello organizzativo l’Italia può imparare qualcosa, considerando anche che il livello di impegno dei club giovanili locali è quasi puramente amatoriale, sia dal punto di vista logistico che finanziario?

CIeF: Nei primissimi anni 2000, la federazione calcistica locale (la KSÍ) in collaborazione col governo islandese ha dato inizio ad una grande operazione per combattere due piaghe sociali che affliggevano il paese: l’alcolismo e il tabagismo giovanile. Per cercare di allontanare i più giovani da questi vizi, sono stati costruiti undici campi regolamentari al coperto in tutta l’isola per poter permettere di giocare a calcio anche durante i lunghi mesi invernali. Viste le condizioni climatiche le attività calcistiche potevano svolgersi solamente nei mesi estivi, sostanzialmente da maggio a settembre; con la realizzazione di questi impianti è possibile poter svolgere attività agonistiche (anche a livello di squadre maggiori) persino durante i rigidi mesi invernali. In questo periodo, infatti, si stanno giocando in tutto il paese diversi tornei amichevoli di preparazione e a febbraio inizierà la Coppa di Lega.
Oltre agli impianti sportivi c’è un altro fattore che, secondo noi, ha permesso la grandissima crescita del calcio islandese negli ultimi anni; per poter allenare in Islanda, a qualsiasi livello sia in campo maschile che femminile, dai pulcini alla prima squadra, è richiesto obbligatoriamente il possesso dei patentini UEFA A e B. Questa norma ha permesso di creare, anche nelle zone più remote dell’isola, una fitta rete di allenatori molto capaci, che sono in grado di far emergere le migliori qualità dei calciatori islandesi fin dai primissimi anni di attività agonistica.
Questo, forse, è un aspetto che potrebbe essere importato anche nel nostro sistema calcistico, dove, soprattutto nelle squadre giovanili di realtà molto piccole, il ruolo dell’allenatore è affidato a gente che non sempre è preparata come dovrebbe.

NN: Le Isole Far Oer, pur essendo soltanto una regione della Danimarca, hanno dalla fine degli anni Ottanta una propria adesione autonoma alla UEFA ed alla FIFA, che gli permette di disputare incontri internazionali per proprio conto e dandogli la possibilità di qualificare propri club per le coppe europee. Tuttavia, mentre la nazionale ha fatto discreti progressi nell’ultimo decennio, i club raramente superano i primi turni preliminari di Champions League e Europa League. Quali passi potrebbero essere fatti per migliorare questa situazione? Meglio cercare di investire localmente nel professionismo o lanciare il progetto di una “franchigia” faroese unitaria (visto che si fa una gran pubblicità al “modello MLS” in Europa) da iscrivere nella piramide sportiva danese?

CIeF: Le Far Oer stanno seguendo le orme dei “cugini” islandesi. Ovviamente il tutto deve essere rapportato anche al bacino di calcatori cui possono attingere le due federazioni (le Far Oer hanno una popolazione di poco inferiore ai 50000 abitanti, un sesto di quella islandese). Molti giocatori della nazionale faroese giocano all’estero, per lo più in Islanda, Danimarca e Norvegia, quindi il campionato locale subisce la stessa sorte di quello islandese, in cui i migliori calciatori emigrano dall’arcipelago in cerca di fortuna (qualcuno forse ricorderà il portiere Gunnar Nielsen, primo giocatore faroese a giocare nella Premier League inglese nelle fila del Manchester City di Roberto Mancini). Al contrario la nazionale, sempre tenendo conto delle dovute differenze rispetto all’Islanda, ha fatto notevoli progressi, sia per quanto riguarda la nazionale maggiore (ricordiamo tutti le due vittorie contro la Grecia che costarono il posto a Ranieri, ed anche nelle qualificazione a Russia 2018 i faroesi sono partiti alla grande pareggiando in casa contro l’Ungheria che ha fatto molto bene agli europei francesi e vincendo in Lettonia) ma soprattutto per quanto riguarda le rappresentative giovanili. E’ notizia di pochi mesi fa, infatti, che la nazionale Under 17 della Far Oer ha superato, per la prima volta nella storia del calcio faroese, un turno delle qualificazioni agli europei di categoria ed anche la rappresentativa Under 19 ha sfiorato la qualificazione al turno successivo. La federazione locale, quindi, sta puntando molto sulla crescita di giovani talenti.
Non pensiamo che la creazione di una franchigia faroese all’interno del sistema calcistico danese possa essere una buona soluzione per la crescita del calcio dell’arcipelago; il sistema migliore è senza dubbio quello che sta perseguendo la federazione, con un’attenta programmazione e un occhio di riguardo ai giovani calciatori locali ma soprattutto sugli allenatori, che sono il punto di riferimento per la crescita di nuove leve. Magari si potrebbe investire, come hanno fatto in Islanda, anche su campi coperti (la momento non ve ne sono alle Far Oer) per poter permettere di giocare in qualsiasi momento dell’anno.

NN: Dopo la favola islandese agli Europei, pensate che sia cambiato qualcosa a livello di opinione? Avete notato delle novità nel modo dei media sportivi e della gente comune di parlare del cosiddetto “calcio minore”?

CIeF: Sicuramente il cammino della nazionale agli Europei ha fatto scalpore e un po’ tutti si sono chiesti come fosse possibile che una nazione con all’incirca la stessa popolazione di Catania potesse aver compiuto una tale impresa. Abbiamo visto su molte testate giornalistiche nazionali articoli che cercavano di spiegare (chi più chi meno adeguatamente) l’exploit dell’Islanda e inneggiavano all’adozione del “modello islandese” anche per il calcio italiano. Ovviamente non si possono paragonare i due sistemi calcistici, sia per dimensioni che per organizzazione; come detto in precedenza, il calcio islandese è semiprofessionistico solo per quanto riguarda la massima divisione, la restante parte della piramide è a livello dilettantistico e il calcio è vissuto solo ed esclusivamente come una passione. Impossibile quindi cercare di replicare, in un paese come il nostro dove il risultato condiziona anche a livello giovanile, questo sistema. Si potrebbero prendere però in esame alcune idee (come l’obbligatorietà del patentino UEFA anche nei settori giovanili, come abbiamo detto prima) ed importarle qui da noi.
Per quanto riguarda, invece, la gente comune abbiamo visto (con commenti sul nostro blog e sulle nostre pagine social) come molti si siano appassionati alle gesta dei nostri eroi vichinghi; inoltre stanno emergendo molte realtà che si impegnano nella promozione di altre realtà calcistiche minori, sia europee che extraeuropee, aumentando la conoscenza di mondi che ai più erano sconosciuti.

Condividi su:

Seguici su Facebook