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Perché scegliere l’amniocentesi

I vantaggi e i rischi di un esame diagnostico invasivo

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A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica


Con il supporto di un ginecologo di fiducia, ogni donna può scegliere il percorso di diagnosi prenatale più adatto. Ad oggi, la futura madre ha a disposizione test di screening prenatale non invasivi, quali il test del DNA fetale e il Bitest, oppure esami di diagnosi prenatale invasivi, quali l’amniocentesi e la villocentesi.
L’amniocentesi è un esame diagnostico invasivo che dà un risultato certo sulla presenza di eventuali anomalie cromosomiche, come le Trisomie 18, 21, 13 [1]. In genere, questo esame viene eseguito come conferma a un eventuale risultato positivo ottenuto da un test di screening prenatale.
L’esame viene effettuato su un campione di liquido amniotico [1], prelevato tramite puntura del sacco amniotico.
L’amniocentesi è effettuata in regime ambulatoriale, per cui la futura mamma tornerà a casa subito dopo il prelievo e dovrà stare a riposo per almeno 12-24 ore. L’analisi del liquido amniotico sarà fatta in laboratorio e in circa 10-15 giorni si avrà conferma o meno della presenza di alterazioni cromosomiche, numeriche o strutturali, responsabili di malattie genetiche, quali: sindrome di Down, sindrome di Edwards, sindrome di Patau, sindrome di Turner, sindrome di Klinefelter.
I risultati dell’amniocentesi si avranno dopo la 19a settimana di gravidanza. L’interruzione di gravidanza in questa età gestionale potrebbe avere un impatto psicologico notevole. Per avere dei risultati certi il prima possibile si possono eseguire l’amniocentesi precoce o la villocentesi [2].
Si parla di amniocentesi precoce quando l’esame viene eseguito tra la 16a e la 18a settimana di gravidanza, per distinguerla dall’ amniocentesi tardiva che, invece, viene eseguita dopo la 25a settimana.
L’amniocentesi ha una percentuale di rischio pari circa all’1%, che aumenta al 2,3% con l’amniocentesi precoce. Inoltre, con l’amniocentesi precoce si ha una maggiore difficoltà di inserimento dell’ago, ed essendo minore la quantità di liquido amniotico prelevato si può avere una maggiore difficoltà nelle colture e un aumento dei tempi per avere dei risultati.
L’amniocentesi, come tutte le procedure invasive, comporta dei rischi. Per cui, solitamente è consigliata:
• in caso di familiarità con alcune malattie, dovute ad anomalie cromosomiche,
• quando l’età della donna gravida è superiore ai 35 anni
• in seguito all’evidenza di un alto indice di rischio rilevato da un esame di screening prenatale non invasivo
• quando, attraverso l’ecografia, si è riscontrata qualche anomalia fetale
• nel caso in cui la gestante contragga malattie infettive, quali ad esempio la rosolia o la toxoplasmosi o il citomegalovirus [3].
La futura mamma, per essere più tranquilla, può effettuare un esame di screening prenatale non invasivo. Tali test sono definiti “probabilistici” ed evidenziano la probabilità di presenza nel feto di un’anomalia cromosomica. Il test del DNA fetale, ad esempio, può essere eseguito già a partire dalla 10a settimana di gravidanza e ha un tasso di affidabilità del 99,9% nella rilevazione delle principali anomalie, quali sindrome di Down e microdelezioni.
È sempre bene scegliere il percorso di diagnosi prenatale o screening rivolgendosi al proprio medico di fiducia.
Per maggiori informazioni sul test prenatale non invasivo Aurora: www.testprenataleaurora.it

Fonti:
1. Ginecologia e ostetricia di F. Bombelli, M. Castiglioni; Società Editrice Esculapio; 2014
2. Medicina dell’età prenatale: prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali
patologie gravidiche – A.L. Borelli, D. Arduini, A.Cardone, V.Ventruto – P.58
3. Fondazione Veronesi – www.fondazioneveronesi.it
 

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