Ha annunciato già questa notte le sue dimissioni. incredibile ma vero, in due anni , è passato dall’essere il giovane dirigente popolare e riformista a diventare il leader disfatto e contestato dalla classe politica e rigettato dalla maggioranza dei cittadini.
Gli elettori della penisola hanno detto chiaramente NO a colui che è stato il più giovane capo di governo nella storia della Repubblica Italiana.
Matteo Renzi ha iniziato la sua ascesa politica come presidente della provincia fiorentina dal 2004 al 2009 carica lasciata da altri per correre a sindaco d firenze nel 2009, sfida vinta facilmente.
E’ del 2012 il suo primo tentativo di mettersi alla testa del partito democratico andato a vuoto, ma il se-condo lo porterà invece al successo, l’anno dopo quando diventa il segretario generale.
Ma è il 13 febbraio 2014 che riesce a guadagnare il governo, scalzando Enrico Letta e diventando primo ministro dopo la famosa frase diventata un noto hashtag #Enricostaisereno indirizzata appunto a Letta un mese prima di prendere il suo posto .Ma l’uomo votato alla politica italiana per garantire al suo paese le riforme e un posto di primo piano in Europa in realtà non è mai riuscito a convincere e ad avere il consenso dei suoi concittadini.
Spesso accusato di governare da solo senza nessuna voglia di compromesso, Renzi ha profondamente diviso il partito democratico tra la maggioranza e la fronda di sinistra.
Subito, appena arrivato a capo del partito aveva promesso la rottamazione degli anziani del suo partito come l’ex premier Massimo D’Alema e l’ex sindaco di Roma Walter Veltroni.
Grande utilizzatore di social network, politico locale che non si era mai seduto in Parlamento o al governo è arrivato al potere con una popolarità inversamente proporzionale al sospetto degli italiani nei confronti della classe politica. Una popolarità confermata dal 40% ottenuto dal PD alle elezioni europee del giugno 2014.
Dopo aver promesso la riforma ogni mese e un profondo cambiamento nei primi 100 giorni, ben presto si è dato nell'estate del 2014 1000 giorni di tempo per "rendere l'Italia più semplice, più coraggiosa e più com-petitiva."
Al suo attivo la riforma del mercato del lavoro, imposta a sindacati e votata in Parlamento, che ha contribuito ad aumentare il numero di contratti a tempo indeterminato, ma le riduzioni di spesa con i prezzi sempre molto alti non hanno certo risolto il problema della disoccupazione, secondo Cgil, il principale sindacato italiano.
Matteo Renzi ha comunque considerato questa riforma come una vera manovra di sinistra. Un paradosso per lui che considera il confronto destra-sinistra anacronistico e si dice convinto che il suo partito non avrebbe potuto vincere le elezioni se non seducendo il centro destra.
E’ arrivato addirittura a voler sedurre l’ex primo ministro Silvio Berlusconi, il tempo di negoziare la riforma costituzionale , prima del loro patto all’inizio del 2015.
Ultra-dinamico, ambizioso, assetato di potere, secondo alcuni, Matteo Renzi la sua aria da eterno adolescente il suo accento toscano leggermente marcato da un po’ di lisca, ha sorpreso la buona società romana per essere rimasto sempre a Palazzo Chigi la sera aspettando di tornare in Toscana dove ha sempre vissuto sua moglie Agnese con i loro tre figli.
Criticato per la sua propensione a mettere constantemente in scena i suoi presunti successi politici ha risposto a suoi detrattore direttaemtne da Facebook e Twitter, con un ritornello molto ispirato dalla politica americana « Yes we can » di Barack Obama, uno dei suoi mentori politici.
Ma stanotte non ha potuto sfoggiarenessun motto, con un discorso coraggioso lucido toccante ha ammesso la sua sconfitta, ha dichiarato "io ho sbagliato " e quindi il principale ostacolo alla sua vittoria per questo referendum ès tato lui medesimo, la sua eccessiva personalizzazione della politica, di un partito e per finine di un appuntamento politico che poteva colorarsi di altri connnotati. Sempre stanotte in chiusura del suo discorso ha passato la patata bollente della legge elettorale ai vincitori, dimenticando comunque che il suo partito detiene sempre e comunque la maggioranza in parlamento.