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Intervista a Marta Grande

La giovane deputata del M5S racconta la sua esperienza legislativa e le sue opinioni sul referendum costituzionale e sulle relazioni dell'Italia con l'estero

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Marta Grande è la più giovane eletta in Parlamento per il Movimento Cinque Stelle. Nata a Civitavecchia, 29 anni compiuti da pochissimo, è attualmente impiegata nella Commissione permanente per gli Esteri, materia di cui si è occupata sin dalla sua elezione nel 2013, anche per merito dei suoi studi universitari in Relazioni Internazionali presso l'Università Roma Tre. Abbiamo avuto modo di incontrarla a margine di un evento organizzato dagli attivisti del M5S di Ladispoli (RM) venerdì 25 novembre, invitata insieme alla senatrice Elena Fattori ed al consigliere regionale del Lazio Devid Porrello, ma, a causa di una fitta agenda di incontri sul territorio della provincia di Roma, siamo riusciti a porle le nostre domande soltanto fra domenica e lunedì. Nonostante l’età verde, la deputata mostra un deciso carisma, che convince il pubblico e induce molti attivisti a pensare che possa essere la chiave di future affermazioni per i Cinque Stelle nella sua regione, nonché un elemento importante per il suo movimento in caso di vittoria alle elezioni nazionali.

NN: Sei ancora al momento fra i dieci rappresentanti più giovani della legislatura corrente. Come sono stati questi primi tre anni di lavoro parlamentare? Considerando che i deputati under-30 dell’attuale legislatura sono appunto dieci, pensi che siano pochi? Cosa dovrebbero fare le istituzioni ed i partiti politici per coinvolgere maggiormente i ragazzi, magari anche minorenni?

MG: Devo confessare che all’inizio ho faticato tanto per tenere il passo, ma quando ho cominciato a familiarizzare con l’attività parlamentare, l’ho subito amata. Si, il primo impatto è stato complicato, come d’altronde è successo a tanti altri neoeletti, specialmente 5 Stelle. Per quel che riguarda la composizione del Parlamento, quello italiano è, in questa legislatura, tra i più giovani in Europa. I “nuovi arrivati”, di tutti i partiti, portano in dote una visione del mondo più chiara e libera da pregiudizi di ogni sorta, per cui a volte è difficile farsi prendere in considerazione dai deputati più anziani, che sono comunque ancora la maggioranza. Il coinvolgimento dei ragazzi nel Movimento Cinque Stelle è stato sin da subito molto ampio. In molti si sono avvicinati dopo essere rimasti delusi da precedenti esperienze politiche, ma soprattutto per cercare risposte alla mancanza di lavoro, di prospettive e alla necessità di emigrare per trovarli, fattori endemici italiani a cui abbiamo il dovere di porre rimedio entro una generazione. La più grande soddisfazione di questi primi tre anni e mezzo di lavoro è sicuramente l’affetto che la gente mi manifesta quando ho l’occasione di partecipare ai tanti eventi che i nostri attivisti organizzano sui territori.

NN: Parliamo di esteri: tu hai studiato negli Stati Uniti e hai dunque vissuto la realtà politica e sociale del paese. Cos’hai da dire sull’affermazione di Trump? Era così imprevedibile e cosa potrà succedere ora, nella transizione dalla campagna elettorale all’istituzionalizzazione del team del miliardario? Le relazioni internazionali saranno soggette alla paventata “rivoluzione copernicana” pronosticata dagli esperti?

MG: Credo che il rapporto fra i sondaggi demoscopici e la realtà vada riconsiderato, sia qui in Europa che nel resto del mondo, visto e considerato quanto si sia dimostrato difficile raccogliere dati basandosi su assunti accademici che non rispecchiano più la società contemporanea, in un certo modo similmente a ciò che è accaduto per il Movimento Cinque Stelle nel 2013. La vittoria di Trump ha dimostrato l’esistenza di un fenomeno elettorale ormai molto più legato alle esigenze quotidiane delle persone che al consenso basato sulla trasposizione in programmi di grandi ideali. Nell’accademia, ma specialmente nei mass media che si basano sui loro assunti, serve una nuova forma di onestà comunicativa nel capire le reali necessità delle persone, senza fingere che non esistano. La politica estera di Trump per ora resta il più grande interrogativo, ma non credo alla tesi di una rivoluzione copernicana nelle relazioni internazionali. Determinati aspetti, anche solo di comportamento, sono già cambiati nella diplomazia statunitense, ma in fondo le scienze politiche avevano già previsto una situazione di multipolarità dopo la fine della contrapposizione fra i blocchi occidentale ed orientale trent’anni fa. Si tratta di una situazione nuova, di grande apertura, ma la cosa più saggia da fare in questo momento è aspettare e analizzare quello che avverrà con serietà.

NN: Passiamo ora all’argomento più caldo del dibattito politico: il referendum costituzionale. Nel quadro del DdL Boschi, i membri del “nuovo” Senato sarebbero identificati dai consigli regionali e fra i rappresentanti delle autonomie locali, fra cui grandi città come Roma e Torino, amministrate oggi dal M5S. Considerando l’attuale vantaggio del Movimento nei sondaggi relativi ad ogni livello di amministrazione, non vi sarebbe convenuto fare un calcolo “macchiavellico” scegliendo di non schierarvi od un appoggio silente alla riforma per assicurarsi, nel lungo periodo, un migliore strumento di governabilità?

MG: Nessun calcolo politico. Il nostro No è un no netto, perché la riforma è completamente sbagliata nella forma, nel metodo e nel merito, è lo è indipendentemente da chi vincerà le prossime elezioni politiche. Il Movimento Cinque Stelle ha presentato un testo di modifica della legge elettorale con un metodo proporzionale puro, senza volersi porre problemi di alleanze, perché le Camere dovrebbero rappresentare la volontà dei cittadini, che dovrebbero poter votare senza la paura di vedere i partiti che portano avanti le loro idee esclusi dal processo legislativo. Questo non è un criterio previsto dall’attuale combinato disposto, per cui ci sarà una governabilità maggiore per chi vince ora od il prossimo anno, ma poi? È innegabile che, ora come ora, l’Italicum ci darebbe un vantaggio contro il Partito Democratico al ballottaggio, ma questo resta un metodo poco democratico che non ci appartiene.

NN: Come si vive in quella che Matteo Renzi continua a definire come “un’accozzaglia” di suoi avversari politici storici o di opportunità?

MG: Personalmente non mi pongo il problema. Durante questa campagna referendaria, molte nostre posizioni sono coincise con quelle di Berlusconi, Salvini, Meloni, o anche di Fassina e Civati, ma ciò non significa che questi siano i “compagni di letto” che vogliamo. E poi d’altronde il PD, con Renzi e con chi lo ha preceduto, ha governato e continua a governare con Alfano, Verdini e Casini senza tenere in minima considerazione ciò che la propria base pensa, quindi il termine “accozzaglia” è soggettivo. La verità è che si tratta di una definizione profondamente squalificante che nessuno dovrebbe meritare, indice di una campagna che ha oltrepassato molto la soglia del buon gusto.

NN: Il giurista Michele Ainis ha affermato che, sia in caso di vittoria che di sconfitta per Renzi, si andrà comunque alle urne per la primavera del prossimo anno. Secondo te ha ragione?

MG: Questa è una domanda che tutti si pongono, ma Renzi cambia continuamente idea. L’indizione di elezioni anticipate dipende soltanto dal presidente Mattarella, ma in qualunque caso noi siamo pronti al turno elettorale. Tuttavia, qualunque sia l’esito del referendum, quello che serve davvero è una nuova legge elettorale, oppure si dovrà affrontare di nuovo la pena di avere una legislatura che non rispecchierà il reale volere del paese.

NN: Allora è veramente necessaria una riforma? Se si, quali dovrebbero essere i tratti salienti di una riforma “a Cinque Stelle” della Costituzione e degli organi rappresentativi dei poteri dello Stato?

MG: In un momento come questo per l’Italia e per i suoi rapporti internazionali, una riforma costituzionale non è fondamentale, né tanto meno lo è per noi, per cui la Costituzione, così come è scritta oggi, è l’unico punto fermo della democrazia nel paese. La stabilità politica si crea sulla base di una buona riforma elettorale, mentre per tutte quelle che sono le innovazioni del DdL Boschi, si potrebbe benissimo procedere sistemando i regolamenti interni di Camera e Senato.

NN: Una questione di colore sul referendum: pur essendo situazioni assolutamente diverse, Hillary Clinton per la sua campagna elettorale aveva raccolto attorno a sé un larghissimo schieramento di VIP e personalità delle arti e dello spettacolo, ma l’americano medio, in molti degli stati più “pesanti”, ha preferito la “luce propria” di jet-set di Trump rispetto all’assembramento troppo liberal della democratica, dandogli la vittoria finale. Considerando che Matteo Renzi ha ricevuto gli endorsement di celebrità italiane nel mondo come Paolo Sorrentino, Jovanotti, Roberto Bolle e Roberto Benigni, mentre invece per il No si è schierata quasi tutta l’accademia italiana, spesso dileggiata da tutti i lati della politica attiva, sul voto popolare potrà incidere più un effetto anti-establishment o un effetto “anti-celebrity”?

MG: Diversi personaggi noti hanno appoggiato anche il No, ma francamente io spero che la scelta dei cittadini venga fatta indipendentemente dalle dichiarazioni più o meno nel merito date dalle singole celebrità, che non mi permetto di criticare. Il fatto che l’accademia sia contraria alla riforma è sicuramente positivo, ma i cittadini hanno bisogno di analisi concrete su cosa cambierà realmente, visto che dal fronte del Si sono piovuti solo slogan, la maggior parte delle volte completamente non attinenti al reale argomento della contesa. Non conto di vedere nessun effetto contro nessuna delle parti in campo. Negli Stati Uniti è emersa chiaramente l’esistenza di un voto di necessità immediata, ma su quello per cui si giocherà il 4 dicembre non sarà un fenomeno pronosticabile. Sono fiduciosa che i cittadini compiranno una scelta esclusivamente nel merito della riforma, dimostrando ancora di essere perfettamente coscienti della loro partecipazione al processo democratico in Italia.

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