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Scenari politici negli Usa dopo la vittoria di Donald Trump

Quali equilibri e dinamiche all’indomani delle elezioni presidenziali 2016

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Il dato è tratto, il risultato ha confermato Donald Trump 45esimo presidente degli Stati Uniti e  i segnali premonitori della sconfitta della Clinton c'erano eccome, ed erano individuabili anche semplicemente ragionando per analogia, cosa che però molti in Italia ed Europa non hanno fatto. L'equilibrio delle forze tra gli stati federali è stato più o meno lo stesso di sempre, ma si è verificata un'inversione demografica nel voto, laddove tanti cittadini fra coloro che generalmente non votano (ceto medio-basso poco scolarizzato degli stati del Midwest e West) si sono presentati alle urne allettati dalla schiettezza populista di Trump; e tanti altri generalmente sempre presenti alle consultazioni (professionisti istruiti dalle aree metropolitane delle due coste oceaniche) che hanno lasciato perdere, non interessati al progressismo della Clinton, ritenuto poco sincero, togliendole un appoggio ritenuto fra i più solidi. Tra gli analisti italiani in particolare, la tendenza a sottovalutare l'irsuto miliardario è stata largamente maggioritaria, a tal punto da dare nei media l'impressione che l'interrogativo dell'elezioni non fosse chi avrebbe vinto tra lui e la Clinton, ma solo in quale modo avrebbe certamente vinto quest'ultima.

Adesso che Trump ha vinto, le reazioni immediate sono state sicuramente molto fredde e formali da parte delle cancellerie mondiali, ma pretendere di intraprendere relazioni internazionali senza gli Stati Uniti è il proverbiale "fare i conti senza l'oste". Nonostante la promessa di non intervenire negli scenari di conflitto globali fatta dal repubblicano, la maggioranza del suo partito nelle due camere spingerà quasi certamente verso una direzione più usuale, mantenendo la leadership della NATO e continuando la politica di deterrenza con la Russia, stemperandola forse un po' per merito della assai pubblicizzata amicizia fra Trump e Putin.

I poteri che sostengono Trump  sono abbastanza palesi, e sono gli stessi che hanno sempre sostenuto i repubblicani, come ad esempio la National Rifle Association e l'impero mediatico della NewsCorp di Rupert Murdoch. Per quello che concerne la carica "anticasta" della campagna di Trump, a parole ostile alla cooperazione internazionale in politica e contraria al libero scambio, questa si dissolverà ben presto, essendo il tycoon in primis cosciente di quanto gli Stati Uniti abbiano bisogno di un'economia aperta per continuare a mantenere quantomeno stabile il livello di benessere nazionale

Durante le celebrazioni della vittoria del GOP, è stato fotografato un sostenitore con un cartello che recitava "the silent majority is with Trump", la maggioranza silenziosa è con Trump, E ciò non potrebbe essere più vero: pur provenendo da una tradizione di grande impresa, nessun candidato meglio di lui avrebbe potuto rappresentare i sentimenti dell'America rurale, bianca e protestante, proprio per essere stato parte dello shobiz e dell'intrattenimento nazionale per trent'anni, un intrattenimento facile che sollevava, seppur per due sole ore la sera, quell'America dalle sue frustrazioni e delusioni quotidiane. Per un Partito Repubblicano in difficoltà fino allo scorso anno, Trump è stato una inconsapevole benedizione, ma ciò non toglie che egli resti profondamente impopolare presso la dirigenza del suo partito ed il suo elettorato più moderato, dalle metropoli e dalle classi sociali più ricche.

Nell'amministrazione Trump, probabilmente saranno tre le figure che argineranno le prevedibili controversie che potrebbero generarsi con l'enstablishment del partito: il vicepresidente Mike Pence, conservatore cristiano di buona esperienza amministrativa, Paul Ryan, attualmente Speaker della Camera dei Rappresentanti e convitato di pietra delle primarie repubblicane, e Rudy Giuliani, l'ex sindaco di New York durante l'11 settembre, che coniuga un'amicizia di lunga data con Trump ed una buona fama presso i rappresentanti repubblicani nel legislativo e che sarà probabilmente il negoziatore fra tutte queste anime del partito.

I partiti minori sono gli unici latori di un pensiero ideologicamente definito nella politica americana, cosa che forse ne rappresenta il maggior motivo di marginalità presso l'elettorato nazionale, abituato alla genericità del bipartitismo da 200 anni e profondamente conservatore anche quando politicamente progressista. In questo turno elettorale hanno avuto un'apprezzabile crescita, dettata dalla grande impopolarità dei due principali candidati Clinton e Trump, che non è stata tuttavia sufficiente a garantirgli rappresentanza federale. I passi maggiori in avanti li hanno fatti i Libertariani, che con l'ex governatore repubblicano del New Mexico Gary Johnson, hanno registrato il proprio miglior risultato di sempre, raggiungendo il 3% del voto popolare, seguiti dai Verdi di Jill Stein, in risalita rispetto alle precedenti elezioni, con l'1% dei consensi. Come già detto, questi progressi non sono serviti a dare seggi a Washington a questi partiti rappresentanze, ma sono sicuramente l'indice di un disinteresse nei confronti dei due partiti maggiori e che, forse, gli americani potrebbero essere in grado di votare in massa anche altri soggetti se si ponessero in essere determinate riforme, come un sistema elettorale con elementi proporzionali o l'abolizione del sistema dei grandi elettori statali.

Federico Garcia, editorialista del blog/wordpress “AngloPolitics for Italy” - Notizie e opinioni in lingua italiana sulla politica del mondo anglofono, molto seguito anche in America e Gran Bretagna.
 

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