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LA SEPARAZIONE PERSONALE TRA CONIUGI ALLA LUCE DELLE ULTIME NOVITA' LEGISLATIVE

Guida pratica a cura dell'Avv. Luisa Camboni

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La separazione personale tra i coniugi è disciplinata, nel nostro ordinamento dall’articolo 150 c.c.: “E’ ammessa la separazione personale dei coniugi. La separazione può essere giudiziale o consensuale. Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o la omologazione di quella consensuale spetta esclusivamente ai coniugi”.

È bene innanzitutto precisare che con la separazione i coniugi danno vita ad una situazione in cui alcuni obblighi nascenti dal matrimonio rimangono sospesi, primo tra tutti l’obbligo della coabitazione senza che venga meno il vincolo matrimoniale che conosce il suo capolinea con il divorzio.
La separazione, a dire del nostro legislatore, può essere consensuale o giudiziale:

consensuale: quando sussiste un accordo tra i coniugi circa le condizioni personali e patrimoniali della separazione stessa.

Il Tribunale, in questo caso, si limita ad omologare tale accordo, cioè ad assicurarsi che siano rispettati i diritti di ciascun coniuge e della eventuale prole mediante decreto;

giudiziale: in caso di disaccordo, la separazione viene pronunciata con sentenza dal Tribunale che prescrive determinate condizioni.

La separazione personale produce effetti, anche, di carattere patrimoniale.
Difatti, a seguito del provvedimento definitivo emesso in sede di separazione – sentenza in caso di separazione giudiziale, oppure decreto di omologa in caso di separazione consensuale - cessa il regime legale di comunione dei beni.
La separazione, infine, non esclude il coniuge separato dalla successione legittima, né dalla quota di riserva quale legittimario, tranne nell’ipotesi in cui la separazione sia stata pronunciata con addebito.

In questo caso egli ha diritto solamente ad un assegno vitalizio adeguato alle sostanze ereditarie e al numero degli eredi, sempre che al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto.

Si noti bene!

La sentenza che dichiara la separazione o il provvedimento di omologa in caso di separazione consensuale devono essere annotati sull’atto di matrimonio dall’Ufficiale di Stato Civile.

La riconciliazione

Durante il colloquio l’avvocato deve far presente ai coniugi che possono far cessare gli effetti della separazione con la riconciliazione.
Le norme di riferimento sono contenute negli art. 154 e 157 c.c.- Capo V, titolo IV, libro I.
L’art. 154 c.c. rubricato “Riconciliazione” stabilisce che: “La riconciliazione tra i coniugi comporta l'abbandono della domanda di separazione personale già proposta”;
l’art. 157 c.c. rubricato “Cessazione degli effetti della separazione” dispone: “I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione. La separazione può essere pronunciata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione”.

Che cosa, dunque, deve intendersi per riconciliazione?
Per riconciliazione deve intendersi la ricostituzione della comunità familiare attraverso il ripristino della comunione materiale e spirituale tra i coniugi o meglio la volontà dei coniugi di ricostituire in pieno et la loro convivenza materiale, et spirituale, fondamento della convivenza medesima.

Il procedimento

Dopo aver delineato, brevemente, gli effetti che produce la separazione, le sue forme e l’eventuale riconciliazione esaminiamo ora gli aspetti procedurali.
Quando il matrimonio giunge al capolinea i coniugi d’accordo o, in caso contrario uno di essi, decidono di intraprendere l’iter che porterà alla frattura del rapporto coniugale rivolgendosi ad un avvocato. Ruolo dell’avvocato in tale procedura non è solo quello di fornire un supporto tecnico, ma anche quello di fornire consigli e una valutazione di insieme sul da farsi.
Il dialogo è importante .
La materia trattata: “Diritto di famiglia” è assai delicata ed importante, soprattutto in presenza di figli minori.
Se può sembrare semplice redigere l’atto introduttivo che riveste la forma del ricorso, non è affatto semplice saper consigliare ed assistere giudizialmente il cliente nelle diverse fasi del processo.
Ecco perché nel corso del colloquio chiedo al cliente di essere chiaro e preciso nel descrivere la situazione. Occorre non solo avere una approfondita conoscenza della materia, ma anche di discipline connesse, ciò al fine di evitare che, anche a distanza di anni, possano verificarsi conseguenze spiacevoli dovute ad una scelta processuale poco attenta ed oculata.

Dico loro di porre da parte l’odio, il rancore, soprattutto nel caso in cui ci siano minori.

In tale situazione di conflitto mi trovo, spesso, a dover fare da “paciere” assumendo le vesti di “paladino” cercando di spiegare che separarsi non significa farsi la guerra in quanto non ci saranno né vinti, né vincitori. Spiego loro che obiettivo di un buon avvocato è quello di tutelare al meglio entrambi e in presenza di figli minori questi ultimi.

Ed è proprio in questa ultima ipotesi che il lavoro dell’avvocato diventa più delicato cercando di individuare la soluzione migliore al fine di proteggere/tutelare nel migliore dei modi il minore dalle “schegge” generate dalla rottura del menage familiare.

Nell’ipotesi in cui non si optasse per una consensuale - che a parere di chi scrive sarebbe la scelta migliore - il primo atto da predisporre, per avviare la procedura di separazione, è una lettera raccomandata con la quale si comunica all’altro coniuge la volontà del cliente di addivenire alla separazione.

Lo si invita in studio per un colloquio al fine di verificare se sussiste la possibilità di una separazione consensuale.
Nel caso in cui ciò non sia possibile occorrerà dar corso alla separazione giudiziale.

I protagonisti del procedimento di separazione sono i coniugi. Essi hanno la legittimazione ad agire, ovvero spetta, esclusivamente, a loro il potere di dare avvio al procedimento e di proseguirlo.
La domanda introduttiva del giudizio di separazione riveste la forma del ricorso ai sensi dell’art. 706 c.p.c..

Dove va presentato il ricorso?

Il ricorso va presentato al Tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi o in mancanza al Tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio.

Nel caso in cui il coniuge convenuto sia residente all’estero o risulti irreperibile la domanda si propone al Tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque Tribunale della Repubblica.

Qual è il contenuto?

Quanto al contenuto il ricorso deve indicare dettagliatamente “[…]l’esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata”. In particolare deve contenere le seguenti domande: assegno di mantenimento che l’attore/ricorrente pretende dall’altro coniuge per sé e per i figli; addebitabilità della separazione all’altro coniuge; affidamento dei figli minori; assegnazione della casa coniugale.

Quanto all’affidamento dei figli, il Tribunale ha poteri officiosi e può dare i provvedimenti relativi all’affidamento e alle regole, anche in contrasto con le indicazioni delle parti.

Questo perché?
Se leggiamo attentamente l’art. 155 c.c. rubricato “Provvedimenti riguardo ai figli” il Legislatore, rigorosamente, al comma 2 dice che:

“[…] il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”.

In altri termini, il giudice è chiamato a valutare la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori - c.d. principio della bigenitorialità - oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determinandone i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore.

Altresì, provvede a fissare il quantum e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli.
Il ricorso introduttivo sia del giudizio di separazione che di quello del divorzio deve essere sottoscritto da un difensore munito di procura, in quanto non è consentito alla parte di stare in giudizio in proprio.
Predisposto il ricorso esaminiamo quali sono gli altri adempimenti che l’avvocato deve compiere prima di giungere all’udienza davanti al Presidente del Tribunale: c.d. udienza presidenziale.

Cosa succede dopo il deposito del ricorso in Cancelleria ?

Il Presidente, nei cinque giorni successivi al deposito in Cancelleria, con decreto, provvede a fissare:
- la data dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a se’, che deve essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso;
- il termine per la notificazione del ricorso e del decreto,
- ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti.

Si noti bene. Al ricorso e alla memoria difensiva vanno allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate. Nel ricorso deve essere dato atto della presenza di figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio.
Prima della comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale l’avvocato deve provvedere a notificare il ricorso con il pedissequo decreto di fissazione dell’udienza. Chi scrive ritiene necessario ricordare che è il Presidente del Tribunale che provvede a fissare il termine entro cui il ricorso ed il decreto devono essere notificati.
Si giunge, così, all’udienza di comparizione delle parti davanti al Presidente del Tribunale.

L’udienza presidenziale

L’art. 707 c.p.c. –
“Comparizione personale delle parti”– così dispone: “I coniugi devono comparire personalmente davanti al presidente con l'assistenza del difensore. Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto. Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata”.

Al comma secondo del summenzionato articolo il nostro legislatore precisa che la mancata comparizione del ricorrente priva di effetti la domanda di separazione. E’ esclusa la perdita di efficacia della domanda qualora la mancata presenza sia giustificata da gravi e comprovati motivi.

E’ bene precisare che, se l'impedimento è solo temporaneo, si avrà un rinvio dell'udienza evitando al coniuge ricorrente di incorrere in tale drastica sanzione, altrimenti, in caso di impedimento non temporaneo è consentito al coniuge ricorrente di comparire a mezzo di procuratore speciale.

Al comma terzo il legislatore precisa/esamina che, in caso di omessa comparizione del coniuge convenuto, il Presidente verifica la regolarità della notifica del ricorso ordinando, se necessario, la sua rinnovazione e il contestuale rinvio dell'udienza.
Se, invece, la notifica è regolare, il rinvio ad un'udienza successiva è consentito solo in presenza di un legittimo impedimento del convenuto o di un suo effettivo interesse al tentativo di riconciliazione. In mancanza di legittimo impedimento o di interesse al tentativo di riconciliazione, la mancata comparizione della controparte equivale ad insuccesso del tentativo di riconciliazione.

All’udienza presidenziale i coniugi vengono sentiti dal Presidente del Tribunale prima separatamente e poi congiuntamente per il rituale tentativo di riconciliazione. Nel caso in cui il tentativo di riconciliazione fallisca il Presidente, sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori dà, con ordinanza, i provvedimenti provvisori ed urgenti necessari per tutelare l'interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione e trattazione. Se tale ordinanza è pronunciata fuori udienza deve essere, poi, comunicata alle parti.
La disposizione normativa che stiamo esaminando è stata modificata dalla Legge 80/2005 e dalla successiva Legge 54/2006 (meglio conosciuta come “Legge sull’affidamento condiviso dei figli”) prevedendo un duplice strumento di controllo dell'ordinanza presidenziale, avente ad oggetto i provvedimenti temporanei e urgenti pronunciati nell'interesse della prole e dei coniugi. Infatti, da un lato detta ordinanza può essere reclamata innanzi alla Corte d'appello entro dieci giorni dalla notificazione del

provvedimento e dall'altro è prevista la possibilità per il giudice istruttore di modificare o revocare l'ordinanza presidenziale.

Attenzione!!!Una volta promosso il reclamo non è più possibile proporre istanza di revoca o modifica, se non in presenza di un mutamento delle circostanze.

I provvedimenti presidenziali

Passiamo ora ad esaminare i provvedimenti presidenziali: efficacia e rimedi.
Se la riconciliazione non riesce il Presidente del Tribunale deve emettere i cosiddetti provvedimenti urgenti e provvisori; cioè deve stabilire a priori -rispetto alla decisione definitiva - a chi dei due coniugi vanno affidati i figli, a chi va assegnata la casa coniugale e, ancora, stabilire se un coniuge deve corrispondere all’altro il cosiddetto assegno di mantenimento o un assegno quale mantenimento per i figli.
E’ bene, infatti, che il ricorso sia corredato da una completa documentazione.
La medesima disposizione è prevista anche dalla Legge sul divorzio n. 898 del 1970 che all’art. 5 dispone “I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione davanti al Presidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria". Compete, dunque, ai coniugi fornire al Tribunale gli elementi reddituali necessari per poter determinare, esattamente, il quantum dell'assegno divorzile.
Se la situazione si presenta oscura il Presidente può riservarsi e decidere fuori udienza. Infatti, può disporre, se lo ritiene opportuno, che le parti, prima di tale decisione, spieghino determinati punti anche attraverso una documentazione ad hoc.

Per quanto riguarda l’affidamento dei figli, se la questione si presenta complessa il Presidente può decidere di sentire il minore, oppure disporre una consulenza tecnica dalla quale si possa desumere in modo chiaro quale sia la soluzione migliore da adottare nell’interesse dei figli.
Detti provvedimenti temporanei e urgenti sono adottati dal Presidente con ordinanza.

Il principio generale in base al quale detti provvedimenti vengono emessi dall'Autorità Giudiziaria è quello del “rebus sic stantibus” (“stando così le cose”), ovvero sulla base degli elementi di fatto così come delineati in un determinato momento, allo stato attuale, ferma restando la modificabilità degli stessi in presenza di circostanze nuove che modifichino il quadro della valutazione precedente.

Qual è l’efficacia di questi provvedimenti?
Questi provvedimenti sono dotati di efficacia esecutiva immediata in virtù dell’art. 189 disp. att. c.p.c, secondo il quale: “L’ordinanza con la quale il presidente del tribunale […] dà i provvedimenti di cui all’art. 708 del codice costituisce titolo esecutivo”.

L’efficacia esecutiva di cui sono dotati questi provvedimenti è tale che perdura, anche dopo l’estinzione del processo e fino a che non sia sostituita con altro provvedimento emesso dal Presidente o dal giudice istruttore a seguito di una nuova presentazione del ricorso per separazione personale dei coniugi.
La medesima situazione si verifica nel procedimento di divorzio. Infatti è previsto che all’esito dell’udienza presidenziale di comparizione dei coniugi, venga emessa un’ordinanza con i provvedimenti temporanei ed urgenti finalizzati a regolamentare i rapporti, anche economici, sia con la prole che tra i coniugi.

Quali rimedi avverso i provvedimenti temporanei ed urgenti?

Il nostro legislatore prevede avverso i provvedimenti presidenziali due rimedi possibili:

- il reclamo alla Corte d’Appello ex art. 708, comma 4 c.p.c., introdotto dall'art. 2, comma 1, della Legge 54/2006 sull'affido condiviso:
-
-  “Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d’Appello, che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento”. La decorrenza del termine di dieci giorni per la proponibilità del reclamo è, dunque, connessa alla notificazione del provvedimento. Ciò significa che se l’ordinanza non è stata notificata, deve ritenersi che il suddetto termine (10 giorni) non abbia mai iniziato a decorrere.
- l’istanza di modifica delle condizioni di separazione proposta al Giudice Istruttore ex art. 709, ultimo comma, c.p.c.: “I provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente con l'ordinanza di cui al terzo comma dell'articolo 708 possono essere revocati o modificati dal giudice istruttore”.

In quali casi si ricorre all’istituto del reclamo? Ed in quali a quello dell’istanza di modifica al giudice istruttore?

Si ricorre all’istituto del reclamo quando sussistono errori - per es. errori di interpretazione della legge applicabile, errori nell’esame dei documenti di causa…- nella decisione emessa in fase presidenziale. In questo caso il reclamo deve basarsi sulle medesime circostanze. In altri termini, la funzione del reclamo è quella di riesaminare, sulla base delle stesse circostanze, l’ordinanza presidenziale ritenuta erronea.
Si ricorre, invece, all’istanza di modifica al Giudice Istruttore quando si verifica un mutamento delle circostanze. I provvedimenti contenuti nell’ordinanza presidenziale possono essere, così, sottoposti a revoca o modifica solo al fine di adeguarli alle nuove circostanze. Difatti, l’art. 156 c.c. ultimo comma, dispone: “Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti”.

Riassumendo: se la parte denuncia errori di valutazione da parte del Presidente del Tribunale su fatti portati alla sua conoscenza dovrà ricorrere all’istituto del reclamo, entro il termine perentorio di 10 giorni - ex art. 708, comma 4, c.p.c.., avanti alla Corte d'Appello; se, invece, la parte asserisce l'esistenza di circostanze nuove o, anche, di fatti preesistenti di cui, però, si sia avuta conoscenza in un secondo momento, dovrà richiedere al Giudice Istruttore la revoca o la modifica del provvedimento presidenziale- ex art. 709 ultimo comma c.p.c.

Revoca/modifica delle condizioni della separazione riguardanti l’affidamento dei figli
Rilievo particolare assume la disciplina relativa alla revoca/modifica delle condizioni della separazione riguardanti l’affidamento dei figli.
L'art. 155 ter c.c., introdotto dalla Legge 54/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, consente ai genitori di chiedere - in ogni tempo - la revisione di questi provvedimenti. Tale istanza è giustificata dall’ esigenza di tutelare il superiore interesse della prole e prescinde, perciò, da ogni condizione. Quando si attiva il procedimento per la modifica delle condizioni relative all'affidamento dei figli è prevista la presenza del Pubblico Ministero. E’ bene precisare che è possibile, per espressa previsione della Suprema Corte, disporre l'audizione dei figli che abbiano compiuto i dodici anni o anche di età inferiore se capaci di discernimento.
Passiamo ora ad esaminare la disposizione contenuta nell'art. 709 ter c.p.c. Anche questa disposizione è una delle novità introdotte dalla Legge 54/2006: "in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento”, il giudice può non solo modificare i provvedimenti in vigore, ma anche emettere provvedimenti aventi carattere sanzionatorio: ammonire il genitore inadempiente; disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro; condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di € 75 a un massimo di € 5.000 a favore della Cassa delle ammende.
La ratio della norma de qua è quella di garantire al minore la possibilità di costruire un rapporto equilibrato e duraturo con entrambi i genitori. Infatti, il principio che sta alla base dei provvedimenti - ex art. 709 ter c.p.c. - è quello di bi-genitorialità, ovvero"il principio etico in base al quale un bambino ha una legittima aspirazione, ed un legittimo diritto a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche nel caso questi siano separati o divorziati".
I rimedi previsti dal nostro Legislatore avverso i provvedimenti presidenziali, trovano applicazione non solo in sede di separazione giudiziale, ma anche di divorzio giudiziale.

L'assegnazione della casa coniugale

Uno dei punti su cui i coniugi spesso vengono a scontrarsi riguarda l’assegnazione della casa coniugale.
Che cosa si intende con l’espressione “casa coniugale”?
Per “casa coniugale” deve intendersi l’immobile comprensivo dei beni mobili all’interno esistenti finalizzato all’organizzazione e all’amministrazione del menage familiare, il luogo, cioè, in cui viene stabilita e si articola la vita familiare.
Il Presidente del Tribunale è chiamato a pronunciarsi anche in merito all’assegnazione della casa coniugale.

Esaminiamo le diverse ipotesi.
1° ipotesi: Procedimento di separazione assegnazione della ex-casa coniugale in presenza di figli minori
Qual è, in questo caso, il criterio adottato per l’assegnazione della ex-casa coniugale?

Il criterio da applicare - sia in caso di separazione che in caso di divorzio - per l’assegnazione della ex-casa coniugale è quello della tutela della prole e dell'interesse di questa a rimanere nell'ambiente domestico e, in mancanza di prole, trovano applicazione le norme sulla proprietà o sul possesso.
Per quanto riguarda la natura dell’assegnazione della casa coniugale, i Giudici  hanno stabilito che
“il diritto riconosciuto al coniuge, non titolare di un diritto di proprietà o di godimento, sulla casa coniugale, con il provvedimento giudiziale di assegnazione di detta casa in sede di separazione o divorzio, ha natura di diritto personale di godimento e non di diritto reale” (Cass. Civ., sez. I, sent. 3 marzo 2006, n. 4719).

2° ipotesi: Procedimento di separazione assegnazione della ex-casa coniugale in assenza di figli.
In questa ipotesi la ex-casa coniugale spetterà automaticamente ed esclusivamente al coniuge proprietario.

3° ipotesi: Procedimento di separazione assegnazione della ex-casa coniugale in presenza di figli maggiorenni.
In questa ipotesi la Suprema Corte, al fine di evitare il perdurare di un vincolo sull’immobile a lungo termine, ha puntualizzato che: “al fine dell'assegnazione ad uno dei coniugi separati o divorziati della casa familiare, nella quale questi abiti con un figlio maggiorenne, occorre che si tratti della stessa abitazione in cui si svolgeva la vita della famiglia allorché essa era unita, ed inoltre che il figlio convivente versi, senza colpa, in condizione di non autosufficienza economica” (Cass. Civ., sez. I, sent. 20 gennaio 2006, n. 1198).


Se la ex-casa coniugale è in locazione, come avviene l’assegnazione?
In questa ipotesi la ex-casa coniugale viene assegnata al coniuge non titolare del contratto di locazione. Difatti, la cessione del contratto a favore del coniuge assegnatario (art. 6 L. n. 392/78) opera ex lege e determina l'estinzione del contratto di locazione in capo al coniuge originario conduttore, senza alcuna possibilità di una sua ripresa, neanche nel caso di allontanamento dall'immobile da parte del nuovo conduttore.

Tutto ciò si verifica senza la necessità di darne apposita comunicazione al locatore. In questo caso nessuna opposizione da parte del locatore avrà esito positivo.

Al riguardo la Cassazione ha stabilito che “l'art. 6 della legge n. 392 del 1978, che prevede il sub ingresso legale del coniuge separato o divorziato nella posizione di conduttore della casa familiare, allorché il relativo diritto gli sia stato attribuito dal giudice, non può trovare applicazione ove l'immobile oggetto del contratto di locazione stipulato da uno dei coniugi, e ceduto, dopo la separazione, all'altro, non sia stato adibito ad abitazione familiare” (Cass. Civ., sez. III, sent.10 aprile 2000, n. 4502).

Esaminiamo ora il caso in cui la ex-casa coniugale è data ai coniugi in comodato. Che succede in caso di assegnazione?
La ex-casa coniugale di norma viene assegnata, in presenza di figli, al genitore collocatario. E se i coniugi si separano, senza figli, va restituita?
A tale quesito ha risposto il Tribunale di Caltanissetta con la sentenza del 19 marzo 2014.
Il caso su cui il Giudice di Caltanissetta si è pronunciato riguardava un appartamento dato in comodato dai genitori dello sposo a lui e alla nuora come casa coniugale. La coppia vi aveva abitato fino alla separazione.
In sede di udienza di separazione, il Presidente del Tribunale aveva autorizzato i coniugi a vivere separatamente. Quanto alla casa coniugale il Giudice della separazione, poiché i coniugi non avevano figli, non si era pronunciato in merito all’assegnazione di tale immobile, ritenendo che dovevano trovare applicazione le norme sulla comunione ordinaria, ovvero quelle che regolano il diritto di godimento. In realtà, dopo la separazione, l’appartamento continuava ad essere occupato dallamoglie che non solo non era proprietaria, ma ancor più, nell’ordinanza di separazione, l’immobile de quo non le era stato assegnato.
E’ bene ricordare che la casa coniugale di norma viene assegnata, in presenza di figli, al genitore collocatario. I suoceri decidevano, così, di agire per ottenere il rilascio. La donna, viceversa, eccepiva che, visto il vincolo di destinazione impresso sul bene (casa coniugale), i comodanti avrebbero potuto ottenere il rilascio dell’immobile solo con il venir meno del vincolo coniugale, ovvero con il divorzio. Il Giudice dava ragione ai suoceri motivando che il vincolo di destinazione è idoneo ad indicare la durata necessaria del rapporto fino a quando – del bene – il comodatario fa l’uso effettivo al quale era destinato (in questo caso: casa coniugale). In altri termini, venuto meno il rapporto coniugale e, quindi, la convivenza dei coniugi e in assenza di un provvedimento giudiziale di assegnazione, il bene va restituito al comodante. Pertanto, i suoceri non dovevano attendere la definizione del giudizio di separazione e neppure di quello di divorzio perché, a seguito dell’ordinanza di separazione, l’immobile aveva perso il vincolo di destinazione: casa coniugale.

Il Tribunale ordinava, così, il rilascio dell’appartamento, ma respingeva l’ulteriore richiesta formulata dai suoceri, ovvero la richiesta di un risarcimento dei danni per il mancato godimento dell’immobile, occupato dalla nuora oltre la data dell’ordinanza presidenziale. I proprietari non erano, infatti, riusciti a dimostrare quale diverso uso ne avrebbero potuto fare in quel periodo. La richiesta di risarcimento è, dunque, legata alla reale dimostrazione dell’utile uso che i proprietari avrebbero potuto fare nel periodo successivo all’ordinanza di separazione.
Il Giudice ha, altresì, respinto anche la richiesta della nuora di rimborso delle spese affrontate per la conservazione dell’immobile. La donna, infatti, aveva dimostrato di avere sostenuto - in via esclusiva - spese di manutenzione dell’immobile, ma dai documenti prodotti era chiaro che si trattava di addizioni e migliorie funzionali a un più confortevole uso e, come tali, secondo l’articolo 1808 c.c., insuscettibili di rimborso.

Assegno di mantenimento
Tra i provvedimenti provvisori ed urgenti rientra anche quello relativo alla determinazione del quantum dell’assegno di mantenimento per i figli e per il coniuge.

Affrontiamo l’argomento partendo dalla definizione di assegno di mantenimento.
“L’assegno di mantenimento è una forma di contribuzione economica consistente, in caso di separazione tra coniugi e qualora ricorrano determinati presupposti, nel versamento periodico di una somma di denaro o di voci di spesa da parte di uno dei coniugi all’altro o ai figli (qualora vi siano), per adempiere all’obbligo di assistenza materiale”.

Quali sono i presupposti per ottenere l’assegno di mantenimento?

Per potere ottenere la corresponsione dell’assegno di mantenimento è necessario che sussistano alcune condizioni:
- deve esserne fatta esplicita richiesta nel ricorso dal coniuge richiedente;
- al coniuge che richiede l’assegno non deve essere addebitata la separazione;
- il coniuge richiedente non deve avere “adeguati redditi propri”;
- il coniuge obbligato al pagamento dell’assegno deve disporre di mezzi economici idonei.
L’assegno da corrispondere è periodico, normalmente a scadenza mensile.
Nella stessa misura in cui continua a permanere in vita, in caso di separazione, l’obbligo all’assistenza materiale tra coniugi, continua, anche, l’obbligo da parte dei genitori di contribuire al mantenimento, all’educazione e all’istruzione dei figli.

Il nostro Legislatore prevede due assegni di mantenimento:

- assegno di mantenimento a favore del coniuge;
- assegno di mantenimento a favore dei figli.
Quanto all’assegno di mantenimento a favore del coniuge va osservato che, nella maggior parte dei casi, questo obbligo a corrispondere detto assegno ricade sul marito perché la moglie, priva di redditi adeguati, si trova impossibilitata a mantenere il medesimo tenore di vita che aveva in costanza di matrimonio. In questo caso il giudice dovrà imporre all’altro coniuge di provvedere al versamento periodico di un assegno il cui quantum è determinato tenendo conto dei redditi del coniuge obbligato e dei bisogni dell’altro.

In quale ipotesi non va corrisposto l’assegno di mantenimento?

L’assegno di mantenimento non può essere corrisposto qualora al coniuge sia stata addebitata la responsabilità della separazione. In questo caso avrà diritto solo agli alimenti, cioè a ricevere periodicamente una somma di denaro nei limiti di quanto necessario al suo sostentamento.
Quanto all’assegno di mantenimento a favore dei figli il legislatore prevede che ciascun genitore è obbligato al mantenimento dei figli, in misura proporzionale al proprio reddito.
In caso di separazione, il giudice dispone l’obbligo di corresponsione di un assegno di mantenimento e lo determina tenendo conto:
delle attuali esigenze del figlio;
del tenore di vita tenuto dal minore nel periodo in cui conviveva con entrambi i genitori;
della permanenza presso ciascun genitore;
della situazione reddituale dei genitori;
della valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
Il diritto a percepire l’assegno di mantenimento può essere modificato o estinto mediante apposito ricorso per la modifica delle condizioni di separazione.

Con il D.lgs. 154/2013 il legislatore ha ribadito l’obbligo dei genitori di mantenere i figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo
Nel caso in cui i genitori non abbiano i mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di grado, sono tenuti a fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere ai loro obblighi nei confronti dei propri figli.
Nel caso in cui il coniuge obbligato dovesse risultare inadempiente, il Presidente del Tribunale può ordinare che parte dei redditi dell’obbligato siano versati all’altro genitore a favore dei figli.
Quanto all’assegno di mantenimento a favore dei figli maggiorenni va osservato che detto assegno cessa di essere corrisposto nel momento in cui il figlio diventa maggiorenne. Tale requisito non è sufficiente: è necessario, altresì, che sia economicamente indipendente ed autosufficiente. Nel caso in cui il figlio maggiorenne non sia economicamente autosufficiente il giudice può disporre in suo favore il pagamento di un assegno periodico. Detto assegno potrà essere versato direttamente al figlio. Nel caso in cui i figli maggiorenni siano portatori di handicap grave per loro trova applicazione la disciplina dettata per i figli minori.

Come si calcola l’assegno di mantenimento?
 

Il giudice nel determinare il quantum dell’assegno di mantenimento per il coniuge deve procedere ad una valutazione “comparativa”, ovvero mettere a confronto le risorse dei coniugi per stabilire in quale misura il coniuge obbligato deve integrare i redditi insufficienti dell’altro. Più precisamente deve tenere conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e, altresì, alle circostanze e ai redditi dell’obbligato. Un altro elemento che deve essere valutato dal giudice è l’attitudine a lavorare da parte del coniuge che richiede l’assegno. Il giudice, infatti, dovrà valutare se quest’ultimo abbia la possibilità di svolgere attività lavorativa retribuita tenendo conto di diversi fattori:
- l’età;
- l’esperienza lavorativa;
- le condizioni di salute;
- il tempo che è intercorso dall’ultima prestazione di lavoro;
e, sulla base di queste valutazioni, può disporre anche una diminuzione dell’assegno.
Il coniuge “debole” ha, dunque, diritto ad un assegno che gli garantisca la conservazione del medesimo tenore sempre che i redditi del coniuge obbligato lo consentano, perché, in caso contrario, dovrà ridurre le proprie necessità, al pari degli altri componenti della famiglia separata.
E’ possibile la revisione dell’assegno di mantenimento?
La risposta all’interrogativo è positiva: è possibile chiedere la revisione dell’assegno di mantenimento nel caso in cui sia mutata la situazione di fatto esistente/accertata al momento della pronuncia del provvedimento. Le circostanze che possono dare luogo alla richiesta di revisione sono due: incremento dei redditi di uno dei coniugi; peggioramento della situazione economica di uno dei coniugi (es.: perdita del lavoro, …).
L’assegno di mantenimento, sia a favore del coniuge, sia a favore dei figli, è rivalutato annualmente secondo gli indici Istat.
La domanda di revisione dell’assegno può essere avanzata sia dall’avente diritto, sia dal coniuge obbligato a versarlo.

La costituzione delle parti
Abbiamo visto che il procedimento di separazione ha come atto introduttivo il ricorso che deve essere depositato in Cancelleria.
Come si costituiscono le parti?
Quanto alla costituzione del ricorrente/attore si tratta di una costituzione a “formazione progressiva” perché l’attore prende parte al procedimento inizialmente con il deposito del ricorso introduttivo, ma la sua costituzione si completa solo a seguito del deposito della memoria integrativa - ex art. 709, comma 3, c.p.c..
La memoria integrativa ha il contenuto dell’atto di citazione, ma manca del requisito della vocatio in ius.

Deve contenere: il nome delle parti; l’indicazione del petitum e della causa petendi; l’indicazione dei mezzi di prova; l’indicazione dei documenti di cui l’attore intende valersi; l’indicazione della procura al difensore se già rilasciata.
Chi scrive ritiene necessario evidenziare che con la memoria integrativa possono essere formulate domande nuove - per es. la domanda di addebito nella separazione - e le domande accessorie riguardanti ad es. l’assegnazione della casa coniugale e l’obbligo alimentare.
E il resistente/convenuto come e quando si costituisce?
Il resistente/convenuto si deve costituire dieci giorni prima dell’udienza di trattazione fissata dal Presidente avanti al Giudice Istruttore mediante il deposito di comparsa di risposta e documenti.
Nella comparsa di risposta il convenuto dovrà proporre tutte le domande riconvenzionali ed accessorie, le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio ed eventualmente chiamare in causa i terzi.

Anche il resistente/convenuto è tenuto ad allegare le ultime dichiarazioni dei redditi.

E’ prevista una sanzione in caso di omissione?
No. Non è prevista alcuna sanzione, ma un tale comportamento potrà essere valutato negativamente dal giudice ai sensi dell’articolo 116 c.p.c.

L’udienza davanti al Giudice Istruttore
Una volta terminata la fase presidenziale, in caso di mancata riconciliazione, il procedimento prosegue il suo iter davanti al Giudice Istruttore designato dal Presidente. Per la fase istruttoria si ritengono applicabili - in quanto compatibili - le disposizioni che regolano il procedimento ordinario.
Nell’udienza di prima comparizione e trattazione il Giudice Istruttore procede alle verifiche preliminari, ovvero verifica la regolarità degli atti introduttivi e del contraddittorio e dichiara la contumacia della parte che non si è costituita depositando la memoria integrativa o la comparsa di risposta.
In questa udienza le parti – tramite i loro difensori – possono richiedere la concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. per la fissazione definitiva del c.d. thema decidendum.
Così come accade nel processo ordinario il Giudice se ritiene la causa matura per la decisione rimetterà le parti avanti al collegio, in caso contrario sarà chiamato a decidere sull’ammissibilità e la rilevanza dei mezzi istruttori fuori udienza o nell’udienza successiva fissata ai sensi dell’art. 184 c.p.c..
Nel caso in cui le parti – tramite i loro difensori – non richiedono la concessione dei termini ex art. 183, comma 6 c.p.c., le istanze probatorie saranno solo quelle formulate fino alla prima udienza di comparizione e trattazione.
Si noti bene: nel caso in cui le parti si accordano sulle modalità della separazione il procedimento si trasformerà da contenzioso a consensuale. In questo caso il procedimento contenzioso si estingue e il verbale di conciliazione passa dal Giudice Istruttore al Collegio per l’omologazione.

Ai sensi dell’art. 709 bis, c.p.c. se il processo dovesse proseguire per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per questioni economiche, verrà emessa sentenza non definitiva sulla separazione.

La legge 55/2015: il divorzio breve

Per concludere questa piccola guida, da ultimo un breve cenno alle novità introdotte dal nostro Legislatore con la Legge 55/2015 meglio conosciuta come “Legge sul divorzio breve ed entrata in vigore il 26 maggio u.s., conformando la disciplina giuridica italiana alla tempistica della legislazione europea.

Quali sono le novità? Quale l’effetto principale?

Innanzitutto non saranno più necessari 3 anni per dirsi “addio”, ma solo 6 mesi se la separazione è consensuale e, al massimo un anno se si decide di ricorrere al giudice.
Un’altra novità riguarda la comunione dei beni che si scioglie nel momento in cui il giudice autorizza i coniugi a vivere separati o al momento di sottoscrivere la separazione consensuale. Prima, invece, lo scioglimento si concretizzava a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di separazione o con l’omologazione del verbale di separazione. Infine, è prevista l'applicazione immediata di tali norme: le norme sul “divorzio breve” trovano applicazione anche per i procedimenti in corso.
Quanto all’effetto principale la nuova legge riduce i tempi ed anticipa gli effetti del procedimento divorzile.
Il termine di 12 mesi, in caso di separazione personale giudiziale e il termine di 6 mesi, in caso di separazione personale consensuale dei coniugi, decorre dalla presentazione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale.
Attenzione! Il termine di 6 mesi decorre anche nell’ipotesi in cui il procedimento di separazione nato in via giudiziale contenziosa si trasformi, poi, in consensuale.

L’art. 2 della Legge sul “divorzio breve” anticipa, inoltre, gli effetti dello scioglimento della comunione dei beni:
nel caso di separazione giudiziale: lo scioglimento si verifica nel momento in cui il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separatamente;
nel caso di separazione consensuale: lo scioglimento si verifica nel momento della sottoscrizione del processo verbale dei coniugi, davanti il Presidente del Tribunale, purché venga omologato.
Lo stesso articolo prevede che l’ordinanza presidenziale – ex art. 708 c.p.c. - venga comunicata all’Ufficiale dello Stato Civile per l’annotazione dello scioglimento della comunione legale.

I nuovi termini da quando decorrono?

Con l’ingresso nel nostro ordinamento della Legge sul “divorzio breve” ciascun coniuge può proporre la domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio a condizione che la separazione si sia protratta ininterrottamente.
Il legislatore ha, dunque, lasciato in vita il requisito della separazione ininterrotta, riducendone di gran lunga i tempi. Difatti, prima della riforma occorreva attendere 3 anni a decorrere dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale nella procedura di separazione personale, ciò anche nell’ipotesi in cui il procedimento da contenzioso si fosse trasformato in consensuale.
Con la riforma i tre anni sono stati ridotti.
L’art. 1 della Legge sul “divorzio breve” in merito stabilisce: ”[…] dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e dai sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale”.
In altri termini, se è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale, oppure è stata omologata la separazione consensuale, in ambedue le ipotesi per la domanda, diretta ad ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, è necessario che le separazioni si siano protratte ininterrottamente per dodici mesi a decorrere dalla data di comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale nel caso di separazione personale giudiziale e per sei mesi nel caso di separazione personale consensuale. Ciò vale, anche, nel caso in cui il giudizio da contenzioso si sia trasformato in consensuale.
Il termine di sei mesi trova applicazione anche nel caso di accordo di separazione concluso davanti all'Ufficiale dello Stato Civile;
e, ancora, nel caso di accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da avvocati.

Si noti bene.
Nel caso in cui venga a verificarsi un’interruzione della separazione, questa deve essere eccepita dalla parte convenuta.

Qual è il presupposto per l’applicazione della nuova riforma?
Presupposto indispensabile è la separazione personale dei coniugi che, ai sensi dell’art. 150 c.c., può essere, come abbiamo già visto, consensuale o giudiziale.
Per completezza espositiva e per meglio capire l’argomento vediamo, brevemente, l’iter da seguire per la separazione consensuale e giudiziale:

- Iter per la separazione consensuale
Consensuale perché? E’ denominata consensuale perché i coniugi decidono di separarsi di comune accordo. In questo caso su ricorso di entrambi i coniugi il Presidente del Tribunale fissa l’udienza di comparizione degli stessi nanti a sé. In questa udienza li sente e tenta la riconciliazione secondo quanto stabilito ai sensi dell’art. 708 c.p.c.. Se la conciliazione non riesce viene redatto processo verbale nel quale si dà atto del consenso dei coniugi a separarsi e i provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli.
Perché la separazione consensuale abbia effetto è necessaria sia omologata dal Tribunale che provvede in camera di consiglio su relazione del Presidente.

- Iter per la separazione giudiziale

Si ricorre, invece, alla separazione giudiziale quando vi è disaccordo tra i coniugi. Il ricorso va depositato al Tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto è residente o ha domicilio. Il Presidente procede, poi, a fissare con decreto la data di comparizione dei coniugi davanti a sé e il termine per la notificazione del ricorso unitamente al decreto. All’udienza il Presidente sente i coniugi prima separatamente e, poi, congiuntamente tentando la riconciliazione.
Se la riconciliazione riesce il Presidente fa redigere processo verbale; in caso contrario, anche d’ufficio, pronuncia con ordinanza:
- i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei coniugi e dei figli; - procede alla nomina del Giudice Istruttore; - e, infine, fissa la data dell’udienza di comparizione davanti a questo.

L’addio al Comune

Dirsi “addio” è diventato più facile e veloce, ma a determinate condizioni. Quali?
La Legge n. 162 del 10 novembre 2014 ha introdotto una grossa novità, ovvero la possibilità di richiedere la separazione consensuale o il divorzio congiunto e la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi al Sindaco, quale Ufficiale dello Stato Civile del Comune di residenza di uno dei coniugi o del Comune presso cui è trascritto l’atto di matrimonio.
Vediamo brevemente qual è l’iter da seguire e i protagonisti della procedura.
Organo incaricato a ricevere e seguire la procedura è il Sindaco in qualità di Ufficiale dello Stato Civile il quale può anche farsi sostituire. Il Sindaco, o chi per lui, riceve da ciascun coniuge la dichiarazione con la quale manifesta la volontà di separarsi o di far cessare gli effetti civili del matrimonio o, ancora, la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Nel caso di separazione personale, ai coniugi, a seguito dell’accordo, è consentito vivere separatamente e, ancora, si viene a determinare lo scioglimento del regime di comunione legale dei beni - ex art. 177 e segg. c.c.
Quanto alla richiesta del divorzio congiunto - a seguito dell’introduzione della novella sul “divorzio breve” - si ritiene che l’abbreviazione dei termini trova applicazione anche nel caso in cui la richiesta venga avanzata davanti al Sindaco. Ciò significa che il termine di 6 mesi - previsto per la separazione consensuale - decorre dall’accordo di separazione personale raggiunto innanzi al Sindaco o chi per lui.
E’ sempre possibile dirsi “addio” in Comune?
Purtroppo no. Il Legislatore ha previsto che non è possibile ricorrere a questa procedura breve e veloce in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave, ovvero economicamente non autosufficienti.


Altro limite è rappresentato dal divieto “di patti di trasferimento patrimoniale”. Il legislatore in questo modo non riconosce all’Ufficiale di Stato Civile la competenza a decidere su questioni aventi natura economica o finanziaria; si pensi, ad esempio, all’assegnazione della ex-casa coniugale, alla determinazione dell’assegno di mantenimento…
In presenza di questi limiti potranno seguire questo iter solo i coniugi privi di figli e che non hanno alcuna pendenza di natura economica.
E’ obbligatoria l’assistenza di un avvocato?
L’assistenza di un avvocato in questo iter comunale è facoltativa. Si ritiene che l’assistenza di un avvocato sia, invece, necessaria prima di raggiungere l’accordo.
Quale il costo di questo iter comunale?Davvero esiguo: una marca da bollo da 16 euro!!

Fonte: La separazione personale tra coniugi alla luce delle ultime novità legislative

 

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