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Samsung, arriva a Corte Suprema la guerra con Apple

Contenzioso per questione di brevetti

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Apple-Samsung: come continuare ad essere partner in affari sottobanco, facendosi però una guerra senza quartiere, e per la gioia dei media.

E da alcuni anni ormai. Oppure esattamente il contrario: continuare a farsi la guerra sottobanco, rimanendo però, all’esterno, ottimi soci. Qualunque sia la prospettiva giusta per valutare la controversia, un nuovo appassionante capitolo si affaccia all’orizzonte. Il 15 dicembre Samsung si è rivolta alla Corte suprema americana per chiedere di rivedere la disputa con Apple e di pronunciarsi sulla sentenza che obbliga la società sudcoreana a pagare 399 milioni di dollari, a causa della violazione di alcuni brevetti Apple. “Altri” 399 milioni, è bene precisarlo, perché mezzo miliardo i sudcoreni erano già stati costretti a sborsarlo  tre anni fa.

Fedele a quanto promesso (minacciato) ad agosto, Samsung ha compiuto la “mossa dell’arrocco” nel contenzioso brevettuale che si trascina ormai da tempo col colosso di Cupertino e ha chiamato in causa il iudex maximus.

La materia del contendere è, come si diceva, un tipico caso di plagio industriale. Al centro della vicenda ci sonodi brevetti di design,  che riguardano l’aspetto estetico (trade dress) ma anche funzionale di iPhone e iPad: la forma dei due dispositivi, secondo l’accusa degli uomini della Mela (fatta propria, poi, anche dai giudici), sarebbe stata ricopiata pedissequamente per le apparecchiature della linea Galaxy, e inoltre all’interno di queste ultime ci sarebbero delle applicazioni che violano anch’esse la proprietà industriale della Apple.

Poco più di tre anni fa, per la prima volta dall’inizio della disputa, un giudice USA condannava l'azienda sudcoreana a pagare più di 1 miliardo di dollari per aver violato l’esclusività dei brevetti di quella statunitense. Col passare dei mesi, dopo limature, revisioni e riduzioni varie, si è addivenuti ad un verdetto che consentiva a Samsung di pagare un po’ meno e. sostanzialmente, a rate.

La prima, operosissima, di 548 milioni di dollari, è già stata onorata; adesso, come si diceva, l’azienda giudicata colpevole tenta di serrare i ranghi per risparmiarsi almeno il versamento della somma residua.

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