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Nigeria, raid con strage da soldati Camerun

“I nostri militari non hanno colpe”, replica Yaoundé

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No, non è Boko Haram.

E neppure qualche altra sigla del terrorismo afro-islamico. Stavolta, sorprendente ma vero, è l’esercito regolare del vicino Camerun a seminare il terrore in Nigeria. L’Onu parla di “disastro umanitario”. E questo in base a quanto riferito dagli operatori dell’avamposto delle Nazioni Unite  del villaggio di Furore che,  nella notte tra l’8 e il 9 dicembre, ha dato ricetto e ricovero agli oltre seicento sopravvissuti scampati ad una Strafexpedition (ma si può definire così?) che non ha lasciato scampo a tanti altri abitanti dei villaggi al confine tra i due Paesi. Centocinquanta i civili uccisi, per mano camerunense.

Un’operazione preventiva anti-terrorismo che, per forza di cose, ha sconfinato nel Paese vicino: sembrerebbe essere questa la spiegazione più plausibile dell’accaduto, se si vuole escludere, come sarebbe assolutamente ragionevole fare, un atto di aperta aggressione del Camerun nei confronti della Nigeria. Oltretutto immotivato. Il governo di Philémon Yang, da parte sua, non nega che il proprio esercito abbia compiuto raid nella zona di confine tra Camerun e Nigeria, però mai con obiettivi diversi da quello di stanare i terroristi bokoharamiani.

Magari in questo caso c'entra il petrolio, però: la scorsa settimana il ministro delle Risorse petrolifere nigeriano aveva parlato della scoperta di un importante giacimento nel bacino del lago Ciad. Un'improvvisa fonte di ricchezza che coinvolge ben quattro Stati, Niger, Nigeria, Camerun e Ciad, e che rischia di conrapporne gli appetiti.   

I nostri soldati rispettano i diritti umani”, hanno replicato alla notizia fonti vicine all’esecutivo di Yaoundé. In effetti, negli ultimi tempi e proprio in funzione anti-miliziani di Maiduguri, le “semi-invasioni di campo” delle truppe rosso-giallo-verdi non sono infrequenti: all’inizio di dicembre un loro blitz alla frontiera nigerian-camerunense aveva portato all’uccisione di cento miliziani e alla liberazione di circa 900 ostaggi.

Tuttavia lo sconfinamento vero e proprio, che è quello testimoniato dai superstiti rifugiatisi nel centro di accoglienza Onu, stavolta appare senza ombra di dubbio un’aggravante che non ha precedenti.  

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