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Caso Pistorius, 15 anni di carcere ad atleta paralimpico

Era accusato di omicidio volontario

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A poche ore dalla seduta-fiume con cui, nella Vecchia Inghilterra, il Parlamento prendeva la cruciale decisione di estendere la sua crociata anti-Isis anche alla Siria, in una delle sue ex colonie, il Sudafrica, il tribunale di Bloomfontein non si distingueva certo per una maggiore celerità nell’emettere una sentenza relativa alla vicenda dell’atleta Oscar Pistorius.

Il maratoneta, agli arresti domiciliari per l’omicidio della sua fidanzata, la modella Reeva Steenkamp, avvenuto il 14 febbraio 2013, era già stato condannato a cinque anni di carcere in primo grado nel settembre 2014, in quanto riconosciuto colpevole di omicidio per legittima difesa (aveva sparato, così si era difeso l’atleta, perché pensava che al posto della ragazza ci fosse un ladro). Ieri si aspettava il verdetto per omicidio volontario, dopo che la Corte d’appello di Bloomfontein aveva accolto un precedente ricorso della Procura, e la conseguente fissazione della pena detentiva a quindici anni (almeno fino ai primi mesi del 2016, quando sarà nuovamente chiamato in causa il giudice di primo grado).

L’attesa, in verità, è stata snervante, per l’imputato come per i familiari della vittima: erano le 9.16 italiane quando la Bbc annunciava che la corte aveva respinto la richiesta di appello voluta dal pubblico ministero per giudicare Pistorius, e quindi che nessuna condanna era stata emessa. Contrordine, meno di un’ora dopo (9.35 italiane): non era vero che il tribunale si era pronunciato nel senso di una procrastinazione del giudizio, ma in realtà non si era pronunciato affatto. Stava lavorando alla sentenza definitiva, che le agenzie hanno lanciato alle 10.05:  l’ex icona di tutti gli sportivi paralimpici, l’eroe che aveva vinto la sua sfida con la disabilità grazie ad un paio di protesi metalliche che lo avevano trasformato in un Mercurio senza ali, paga l’unico gesto di follia di una vita per tutti gli altri aspetti coraggiosa, esemplare, semplicemente da applaudire.

Quindici anni magari non sono un’eternità, ma quei quattro spari contro la porta del bagno chiusa (dietro la quale c’era la povera Reeva), in una notte buia, fredda, senza sonno e senza senno, pongono probabilmente  la parola fine ad un mito, e in modo inappellabile.

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