È uno storico ottobre per il libero scambio nell’area del Pacifico.
Gli Stati Uniti e gli altri undici Paesi vincolati al trattato cooperativo noto come Tpp (Trans-Pacific partnership) hanno infatti chiuso, lunedì 5 ottobre, il più grande accordo in materia, ora al vaglio dei loro parlamenti. Definire il Tpp un semplice patto internazionale finalizzato al libero commercio è probabilmente riduttivo; quando, nel 2012, Washington decise di sottoscriverlo insieme con Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Messico, Malesia, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam, pensava senza dubbio ad un vero e proprio laboratorio di associazione economica tra Stati. Un laboratorio, la cui attività negoziale era proiettata dall’origine in direzione di quell'epocale traguardo, tagliato proprio all'inizio della settimana: quello della creazione di un mercato comune asiatico-americano.
Anzi, punto di intersezione tra ben tre continenti: America, Asia e Oceania. E il numero dei Paesi aderenti potrebbe presto allargarsi: hanno infatti fatto richiesta di adesione (tecnicamente hanno “annunciato il loro interessamento”) le Filippine, Taiwan e la Corea del Sud.
Eliminazione delle barriere tariffarie e non tariffarie. Il primo, necessario passo per avviare un processo di uniformazione economica tra ben quindici Stati. Sembrerebbe una sorta di Ue oltre-Oceano, però su scala intercontinentale, come già detto. Cosa non si farebbe per contrastare lo strapotere economico della Cina praticamente in casa sua, si ragiona nelle segrete stanze della Casa Bianca. Foedus fac ac fortius bella.