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Filippine, Fronte Moro fa strage di agenti di sicurezza

Morti 49 poliziotti in scontri con i ribelli

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Dimenticatevi Boko Haram. Ma anche l’Isis, e perfino al Qaeda. Nel mondo dei movimenti paramilitari islamici, il Fronte di liberazione Moro è arrivato prima di parecchi altri, probabilmente di tutti: forse il suo svantaggio è quello di essere rimasto una forza estremista locale, di non essersi espanso a livello internazionale. Ancora oggi, in effetti, il kriss che sta sotto la mezza luna coronata da una stella a cinque punte non è un marchio di esportazione. Esattamente come alle origini della sua lotta armata, il Fronte continua ad operare lì dove è nato, nelle Filippine, l’arcipelago recentemente onorato dalla visita del papa. Ma nella Manila in adorazione per papa Francesco e il suo magistero teologico il fragore delle armi dei miliziani tornati a scontrarsi con i regolari non è arrivato: da sempre, infatti, l’epicentro delle operazioni frontiste è lontano da Luzón, cioè l’isola (la più grande dell’arcipelago) dove si trova la capitale. Nato nell’isola meridionale di Mindanao (la seconda più grande delle Filippine), che accoglie una regione autonoma la cui popolazione è a maggioranza islamica (il cosiddetto Mindanao musulmano,  quartier generale dei ribelli), il Fronte punta a rendere autonomo anche il resto dell’isola, e a riunire le altre cinque regioni che la costituiscono (Zamboanga, Hilagang, Cotabato, Davao e Caraga) in un unico Stato islamico indipendente.
A Mindanao, dunque, nonostante una tregua governo-ribelli sottoscritta nel marzo dello scorso anno, il 25 gennaio le forze di sicurezza di Manila e gli islamisti frontisti sono tornati ad incrociare i fucili. Le cronache locali riferiscono che quarantanove agenti sono caduti sotto i colpi dei miliziani in un’estenuante battaglia di ben undici ore svoltasi nei pressi della città di Mamasapano. Quest’ultima si trova nel Maguindanao, una provincia del Mindanao musulmano. 

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