Juan Carlos Cabrera. Contrordine, è Segundo Tevez. Non il padre naturale dell’”Apache” della Juventus, ma quello adottivo, di cui porta il nome e che è anche suo zio. In ogni caso, una odissea nero-bianca per l’attaccante bianconero e la sua famiglia. Conclusasi, al meglio, dopo otto ore di tribolazione. Tra le 5.00 e le 7.00 del 29 luglio (ora argentina) Segundo, in base alla ricostruzione dell’emittente TN, stava transitando in auto dalle parti di Morón, nella provincia di Buenos Aires, quando si è imbattuto in una banda di criminali comuni che, dopo averlo riconosciuto, lo hanno prelevato di forza. Probabilmente, secondo alcuni media argentini, l’obiettivo iniziale dei delinquenti era l’auto dell’uomo, ritrovata più tardi non lontano da Villa Devoto, uno dei 48 quartieri della capitale. Così, a metà mattina, la tranquillità dei familiari di Segundo (lui, Carlitos, è lontano, è in Italia a fare la preparazione pre-campionato con la Juve), viene rotta da una telefonata improvvisa: uno sconosciuto chiede 2 milioni di pesos (all’incirca 200.000 euro) per liberare lo zio del campione. Nelle ore successive è chiaro che un ruolo decisivo, come mediatore, deve averlo giocato l’avvocato di casa Tevez, l’italo-argentino Galasso, se è vero come è vero che alle 13.45 (circa le 19.00 in Italia) Segundo viene alfine rilasciato dietro il pagamento di un riscatto ampiamente inferiore a quello preteso, cioè 400.000 pesos (36.000 euro). La restituzione ai suoi cari avviene nella cornice del Fuerte Apache, il quartiere dell’infanzia del puntero juventino. Che è lontano, certo, ma, messo al corrente dei fatti, soffre come e più dei suoi cari in Argentina: tanto che non giocherà l’amichevole della sua squadra contro il Cesena. Troppa pressione emotiva, troppa angoscia (a un certo punto era apparso davvero deciso a prendere l’aereo e tornarsene a casa). Non lo rassicurerebbe il fatto che, di questi tempi, nella sua patria i campioni del football sembrano essere diventati i bersagli prediletti del crimine.

