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Giulio Regeni: il capo del sindacato degli ambulanti ammette di aver denunciato il ragazzo

In un'intervista all'edizione araba di Huffington Post Mohamed Abdallah dice di essere un collaboratore dei servizi segreti egiziani

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Era il 25 gennaio 2016 quando di Giulio Regeni, giovane ricercatore italiano in Egitto, si persero le tracce. Il 3 febbraio suo corpo venne ritrovato ai bordi di una strada del Cairo seminudo e con evidenti segni di tortura. E i diversi esami e le autopsie confermarono che Regeni era stato sottoposto a ferocissime torture. Regeni in quel periodo si trovava in Egitto per svolgere ricerche sui sindacati indipendenti nell'ambito del dottorato che stava svolgendo all'Università di Cambridge

I contorni e il luogo della morte del ragazzo non sono mai stati chiariti, ma i sospetti si concentrarono subito verso le varie forze dell'ordine e i servizi segreti egiziani posti sotto il controllo del governo militare di Al-Sisi, il quale dispone di una fitta rete di spie in tutto il paese. I cambi di versione della polizia egizia sulle cause delle morte di Regeni non fecero altro che dimostrare i tentativi di depistaggio sulla vera dinamica dei fatti a cui si aggiunse la mancata collaborazione della magistratura per diversi mesi. 

Regeni svolgeva ricerche sul campo, intervistando persone, esponenti del sindacato e della società civile e proprio in questo modo entrò "nell'attenzione" dei servizi segreti. Nei mesi successivi alla morte, in cui continuarono i cambi di versione del governo egiziano, spesso anche in modo offensivo nei confronti del ragazzo, i sospetti si concentrarono su Mohamed Abdallah, capo dei sindacati indipendenti degli ambulanti con i quali Giulio Regeni era in contatto per i suoi studi. 

Per diverso tempo Abdallah aveva sempre negato il suo coinvolgimento nell'omidicio di Regeni anche se ormai i dubbi sulla sua partecipazione alle indagini e al sequestro del ragazzo si erano diradati. Questo fino a qualche giorno fa, quando lo stesso Abdallah, intervistato dall'edizione araba dell'Huffington Post, ora riportata dall'Espresso, ha ammesso esplicitamente di aver consegnato Regeni al Ministero dell'Interno egiziano. 

Sì, l’ho denunciato e l’ho consegnato agli Interni e ogni buon egiziano, al mio posto, avrebbe fatto lo stesso” ha detto Abdallah, che hai poi confermato di collaborare stabilmente con le forze di polizia. "Siamo noi  - ha infatti detto il sindacalista - che collaboriamo con il ministero degli Interni. Solo loro si occupano di noi ed è automatica la nostra appartenenza a loro. Quando viene un poliziotto a festeggiare con noi a un nostro matrimonio, mi dà più prestigio nella mia zona”. 

E poi sugli ultimi giorni di Regeni Abdallah ha detto: "“Io e Giulio ci siamo incontrati in tutto sei volte. E’ un ragazzo straniero che faceva domande strane e stava con gli ambulanti per le strade, interrogandoli su questioni che riguardano la sicurezza nazionale. L’ultima volta che l’ho sentito al telefono è stato il 22 gennaio, ho registrato la chiamata e l’ho spedita agli Interni”. 

Con queste dichiarazioni, dunque, si aggiunge un altro tassello fondamentale per capire come sono andati i fatti e risalire ai responsabili materiali e politici dell'assassinio del giovane ricercatore italiano. Quel che non è ancora chiaro, tra le tante cose, è come intenda procedere il Governo italiano nei confronti dell'Egitto, alla luce di questi nuovi elementi. 

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