Gli Usa e i loro alleati.
Dal 1945 uniti in una lega difensiva che, nel tempo, ha garantito sostegno per la ripresa economica, protezione dal pericolo sovietico, salvaguardia della democrazia e, specie nei tempi più recenti, integrazione in progetti bellici tesi a custodire i destini dell’Occidente minacciati dal pericolo terrorista islamico. In una parola, la Nato o Patto Atlantico: un po’ sistema associativo basato sul principio del Primus inter pares, un po’ Santa Alleanza (se un paese del Patto viene aggredito o vulnerato, tutti gli altri Paesi che ne fanno parte devono aiutarlo a rialzarsi), un po’ anche Grande Fratello (o Grande Zio, o Grande Cugino): in termini di invasività, infatti, il Patto di Varsavia, con i suoi bracci investigativo-inquisitori, Kgb e Stasi, non era poi un mondo così lontano da Cia e affini.
Un problema di intrusione nelle “vite degli altri”, insomma, e a tutti i livelli, c’è sempre stato tanto ad Est quanto ad Ovest. Solo che in Occidente, dove il Patto non è ancora collassato, ai vecchi fatti ormai diventati leggende per dietrologi ed occultisti – in pratica la vecchia storia della regia occulta dei servizi segreti di Washington in parecchi ribaltamenti del quadro politico dei paesi europei – se ne aggiungono altri che leggende non sono, ma attualità viva e palpitante, oltre che sconvolgente; e tutto questo, grazie al Prometeo-Snowden, nell’estate di tre anni fa, e, prima e dopo di lui, ai suoi colleghi: essi hanno il meritodi aver scoperchiato pentole, a beneficio di chi non sapeva, e nello stesso tempo di aver fornito conferme a favore di chi sospettava.
Un po’ Prometeo e un po’ Pandora, Edward Snowden, ex tecnico della National Security Agency: non rende completamente l’idea, infatti, dire che le sue rivelazioni hanno provocato un terremoto; in realtà sarebbe meglio dire che hanno risvegliato un vulcano, che da anni, ormai, non cessa di emetter lava, a corrente alternata ma implacabilmente.
Di questo vulcano, l’ultima eruzione è il capitolo italico di Wikileaks, la centrale di condivisione online di tutti i documenti top secret divulgati dalle gole profonde come Snowden: tecnicamente questi non è e non è mai stato un collaboratore di Wikileaks, ma è un fatto che molti dei materiali del sito continuano ad avvalorare e a certificare le affermazioni a suo tempo fatte dall’informatico. Un capitolo, quello di cui dicevamo, che vede al centro Berlusconi e gli ultimi, convulsi mesi del suo governo: l’ “orecchiocchio” di Washington era ben presente nella fase drammatica del trapasso dall’ex Cavaliere al senatore Monti, sullo sfondo dell’impennata dello spread (ottobre-novembre 2011). E non solo allora: il “monitoraggio privilegiato” aveva avuto inizio sin dal 2008, da quando, cioè, Berlusconi era tornato al governo.
E, si sa, non si può arginare un vulcano, ma solo ricostruire sul terreno devastato dal suo magma. In questo caso ciò che c’è da ricostruire è il rapporto di fiducia tra Usa e alleati in termini di rispetto della privacy. Obama lo ha capito e proprio per questo, mercoledì 25 febbraio, forte del sostegno bipartisan del Congresso, ha firmato una legge con cui Washington intende, da oggi in poi, tutelare di più la difesa delle informazioni personali relative non solo ai cittadini americani, ma anche a quelli dei paesi alleati. Tutti, in caso di violazione dei loro dati, potranno fare causa al governo Usa. Non si tratta, naturalmente, di cancellare decenni di storia di sudditanza-cooperazione-partnership, ma di impostare i termini per un rapporto di alleanza nuovo, almeno nelle intenzioni più trasparente.
Intanto, proprio nel momento in cui lancia questa “campagna di trasparenza” pan-occidentale, all'interno l’Amministrazione continua il suo braccio di ferro con la Apple, che si ostina a negare lo sblocco dell’iPhone di uno degli autori della strage di San Bernardino. A suo tempo (siamo alla fine del 2015), l’Fbi chiese ai tecnici della “mela morsicata” di mettere a punto un sistema operativo (in pratica una modifica dello iOS) con cui realizzare un accesso secondario all’iPhone 5c di Syed Rizwan Farook, e così venire in possesso di quanto era nella memoria di quel dispositivo. La Apple rifiutò, nonostante un ultimatum piovuto direttamente da un giudice della California, e quindi replicò, con il boss in persona, Tim Cook.
Questi scrisse che la sua azienda non poteva, contrariamente alla sua stessa natura e missione, farsi strumento del governo per limitare la libertà dei cittadini. Ed ora, scrive il New York Times, gli ingegneri di Cupertino sono al lavoro per sviluppare una modifica al sistema operativo dell'iPhone, che va però nella direzione esattamente opposta a quella “suggerita” dall’Fbi: lo scopo, infatti, è quello di alzare ancora di più il livello di sicurezza a beneficio dei clienti-utenti.