Il Manifesto del futurismo, pubblicato in francese su "Le Figaro" il 20 febbraio 1909 con il titolo Le Futurisme, era in realtà già stato inviato in forma di volantino a vari intellettuali e scrittori italiani e pubblicato il 5 febbraio sulla "Gazzetta dell'Emilia". Il Futurismo italiano fu un movimento che ha avuto respiro cosmopolita ed europeo, esso cercava di svecchiare la cultura italiana. La decisione di lanciare il movimento da Parigi, era perché allora la capitale francese era il maggiore centro di produzione culturale dell’Europa, così da non limitare il movimento alla sola Italia.
Filippo Tommaso Marinetti fondatore del movimento nel Manifesto esplica il progetto futurista: l'intenzione di voler plasmare, distruggendola e rifondandola, una nuova concezione della vita e dell'arte.
La nuova arte si doveva fondare sull’amore del pericolo, sull'abitudine all'energia e alla temerarietà, sulla bellezza dell’“eterna velocità onnipresente”, che caratterizza la civiltà moderna e che ha arricchito con l’invenzione dell’automobile. Inoltre doveva cantare la bellezza della lotta, di conseguenza i futuristi glorificavano la guerra, definita “sola igiene del mondo”, il militarismo, il patriottismo e il gesto distruttore. Bisognava inoltre secondo Marinetti rifiutare tutta l’arte del passato, dei musei, delle biblioteche, delle accademie e lottare contro il moralismo, il femminismo e ogni opportunismo.
I primi futuristi, Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Balilla Pratella e Antonio Sant'Elia, oltre al già citato Marinetti propongono nuove concezioni alla base della pittura (Manifesto dei Pittori futuristi, 1910); della musica (Manifesto dei Musicisti futuristi, 1911); della drammaturgia (Manifesto dei drammaturghi futuristi, 1911); della scrittura (Manifesto tecnico della letteratura futurista, 1912 e Distruzione della sintassi. L'immaginazione senza fili e le Parole in libertà, 1913); dell'architettura(Manifesto dell'architettura futurista, 1914).
Le manifestazioni più persuasive del Futurismo italiano non vanno cercate nella produzione letteraria, di livello assai modesto, ma nella produzione artistica, dalla pittura alla scultura all’urbanistica: Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Antonio Sant’Elia ne sono esempi lampanti.
Dopo il 1920 il Futurismo perde le sue spinte eversive e finisce in una tranquilla celebrazione del regime fascista, lasciando però segni evidenti nelle successive correnti artistiche.