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Lettere dal paese di Amleto

Passeggiando in bicicletta (senza fretta)

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Ho preso coraggio ho inforcato la mia grande fashion bicicletta rossa e sono partita. Per sicurezza ho fatto un giro di prova sotto casa e non credevo che sarei caduta dopo due minuti. Questo perché nella  biciclette nordiche il freno posteriore lo si aziona girando all’indietro i pedali e per chi non è abituato significa rovinare per terra perché il mezzo inchioda all’improvviso. Brutta figura ma non mi sono scoraggiata. Sono rimontata in sella sapendo di  dover pedalare sempre in avanti ma fare il contrario è un riflesso incondizionato e la caduta a pelle di leone era in agguato ad ogni stop and go.
Dunque parto e fatti pochi metri ho notato  un furgone alla mia sinistra molto più avanti, fermarsi prima di girare a destra. Tanta premura mi ha insospettito e  ho inchiodato facendo bestemmiare il ciclista alle mie spalle. Perché qui prima di frenare devi alzare la mano per non essere asfaltato da chi ti segue.   Non è come in Italia che la fatica di pedalare  e il rischio di esser messo sotto ogni cinque minuti dalle auto , viene ricompensata dal fatto che sulle due ruote si fa un po’  quel che ci  pare:  inchiodare, andare  a zig zag, passare sui marciapiedi, mettersi con comodo le dita nel naso bucando i sensi unici. NO! Qui fai parte dei protagonisti del traffico cittadino, e come tale hai dei diritti e dei doveri. Quindi il furgone non aspetta per schiacciarti meglio ma perché  ha l’obbligo di  dare la precedenza sempre e comunque alle bici sulla pista ciclabile. Lusingata da tanta superiorità su un veicolo a 4 ruote mi sono sentita invincibile. Avevo  sei chilometri da percorrere per arrivare nel centro, un percorso pianeggiante e diritto una vera passeggiata.    Ma questa illusoria sensazione è durata poco. Non potevo tenere un’ andatura troppo rilassata, rischiavo di intralciare i siluri che mi sfrecciavano accanto da soli o con i famosi cassonetti farciti di ogni bene bambini compresi.   Arrivo ad un semaforo rosso, dovevo rispettare la fila, ognuno al suo posto ma l'ho capito tardi  e naturalmente sono passata davanti agli altri che mi hanno guardato in cagnesco. E’ arrivato presto il verde per fortuna a togliermi dall’imbarazzo. Dopo tanto penare sono arrivata  ai monumenti della città dove sono potuta entrare  tranquillamente( come se da noi si potesse pedalare allegramente nella reggia di Caserta  o dentro al Colosseo) ok bello ma i sanpietrini non erano ideali per il mio povero sedere e ho rinunciato velocemente.
Nel viaggio di ritorno ho scoperto che la pista ciclabile è terreno di viaggio anche per i segway quei cosi a due ruote detti monopattini intelligenti  (http://it.wikipedia.org/wiki/Segway )  che non hanno agevolato certo la mia esperienza senza contare che ad ogni incrocio ogni volta che dovevo girare a sinistra sono riuscita a non tagliare  la strada alle auto  solo scendendo e attraversando come fossi un pedone spingendo la bici.  Manovra che gli indigeni non fanno assolutamente perché ti prendi gli accidenti di  ciclisti pedoni e  automobilisti. Basta! Tutto troppo complicato rinuncio. Ho deciso quindi che  la bici resterà al palo a e io continuerò a scorrazzare per la città . Mi pare una resa onorevole.

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