“Cinque mesi difficili, ma nessuna violenza o abuso”: sembra di risentire Simona Pari e Simona Torretta. Erano le quattro ante meridiem del 16 gennaio quando, all’aeroporto militare di Ciampino, è atterrato il Falcon 900 con a bordo le due giovani volontarie italiane che, il 31 luglio dello scorso anno, erano state rapite in Siria. Data l’ora, probabilmente, non è stato possibile organizzare un comitato d’accoglienza più folto per Greta Ramelli e Vanessa Marzullo: ad attenderle c’era il solo ministro degli Esteri, un infreddolito Paolo Gentiloni con un giaccone sportivo scuro, in compagnia di qualche uomo del suo entourage. C’è da dire, però, che il premier Renzi la sera del 15 si era messo in contatto con le famiglie delle due ragazze per annunciar loro la lieta notizia.
Tutto si può dire dei governi italiani, ma non che non siano quasi sempre in grado di riportare a casa, e in buone condizioni, i vari operatori e attivisti umanitari, ma anche giornalisti, che nei fronti caldi del pianeta, per un motivo o per un altro, siano caduti ostaggio di gruppi estremisti o terroristi. Il fortunato elenco è lungo, più lungo di quello degli episodi tristi: in esso si possono comprendere anche i casi di Giuliana Sgrena del 2005 (al netto della morte di Calipari, avvenuta proprio durante le operazioni per liberare la firma del Manifesto) e quelli di Cupertino, Agliana e Stefio, i compagni del povero Quattrocchi, che fu invece giustiziato: i quattro agenti privati vennero rilasciati all’inizio di giugno del 2004. Restando in Iraq, ci sono anche le già citate Simona Torretta e Simona Pari dell’associazione “Un ponte per…”, rilasciate nel settembre del 2004 a meno di un mese dal loro sequestro. In Afghanistan abbiamo Daniele Mastrogiacomo (2007). In Libia, e poi anche in Siria (fu rapito due volte, prima nel 2011 e poi nel 2013 e, appunto, in due posti diversi), Domenico Quirico, inviato della Stampa. Dal Darfur dopo centoventiquattro giorni di prigionia venne fuori Francesco Azzarà, collaboratore di Emergency; nell’arco di un anno si concluse invece il sequestro in Algeria di Rossella Urru, cooperante. Nel 2014 è la volta della liberazione di due tecnici italiani catturati in Libia, Vallisa e Salviato. In tutti questi casi (o almeno in parecchi di essi) quanto ha contato l’abilità diplomatica, e quanto invece la disponibilità del governo a sborsare somme ingenti per i riscatti?
Lo stesso dilemma si ripropone per Greta e Vanessa, sicuramente le più giovani tra le cooperanti di casa nostra mai rapite in zone di guerra (sono due ragazzine: una ha vent’anni, l’altra uno in più). Catturate da miliziani di Al-Nusra nella provincia di Aleppo, dove si trovavano per alleviare le difficoltà della popolazione provata dalla guerra, secondo alcune voci sarebbero state liberate dopo il pagamento di un riscatto di ben dodici milioni di dollari. Il record precedente era di cinque milioni di euro, almeno in base a quei dati che nel corso degli anni sono trapelati: quelli pagati per la Sgrena. Leggermente meno in base al cambio, e cioè cinque milioni di dollari, ci costarono le due Simone, che alla fine della loro esperienza, come accennato, tennero a sottolineare l’umanità, se non addirittura la galanteria, dei loro carcerieri. Alla Camera Gentiloni è prontamente intervenuto per dissipare le voci di una liberazione a pagamento delle due ragazze: “Solo illazioni prive di reale fondamento. Nella lotta al terrorismo non accettiamo lezioni da nessuno”. Il ministro ha poi biasimato coloro che hanno frettolosamente liquidato le traversie delle due ragazze come la giusta sorte per chi le disavventure “se le va a cercare”, ma è un fatto che lo stesso padre di Vanessa, in fondo, è di questa idea. E lo ha dichiarato apertamente a Radio 24: “Io a mia figlia avevo detto di usare la testa, il solo coraggio non basta. Ma poi, avendo visto che era convinta al 100% di quello che faceva, ed essendo ella ormai maggiorenne, ho accondisceso alla sua volontà e l’ho lasciata partire”.