Una storia che ci racconta Paolo Roat membro del Comitato dei cittadini dei Diritti Umani della provincia di Trento, ben informato sui fatti e a stretto contatto con le persone di cui ci racconta “Si tratta di una famiglia come tante che vive in Val Di Fiemme nella provincia di Trento, mamma casalinga, papà saldatore genitori di un piccolo di due anni e due fratelli molto più grandi che la madre ha avuto da un precedente matrimonio uno di diciannove e l’altro di 25 anni . Il piccolo veniva chiamato il bambino che ride per la sua allegria. In questa routine familiare Il figlio diciannovenne della donna trova lavoro dal fratello di questa ma le cose non vanno bene e dopo un litigio tra zio e nipote , lo zio decide di chiamare l’assistente sociale accusando la sorella di incapacità nell’accudire il figlio più piccolo. Da quel momento iniziano i dolori. Il piccolo viene affidato a un’altra famiglia sulla base della relazione dell’assistente sociale che conferma la mancata capacità genitoriale della donna nei confronti del bimbo di appena due anni. Va detto che in Italia siamo in presenza di una lacuna legislativa in materia di minori: nei confronti del giudizio di un assistente sociale non esiste contradittorio. Si fa ancora riferimento a una legge del 1934 che non permette alla famiglia di ricorrere in appello. L’assistente sociale che si occupa del caso è coetanea della mamma, si conoscono da sempre e accusa la madre del piccolo di fare uso di alcol e droghe. Sebbene la signora abbia avuto dei problemi di questo tipo molti anni fa , adesso ne è completamente fuori” assicura Paolo Roat. Un’ulteriore accusa dell’assistente sociale è quella di non avere buoni rapporti con i figli più grandi, eppure il secondo figlio vive con la madre e per l’altro è risaputo che mantiene con il nucleo familiare della mamma buoni rapporti.
“Ancora l’assistente sociale muove accuse che possiamo definire sicuramente false perché dichiara di avere una perizia redatta da uno psicologo nel 2006 sulla madre del piccolo dove si parla di disturbi della personalità, ma ad oggi l’assistente sociale non ha prodotto nessun atto tangibile che confermi questa visita e la successiva perizia” conclude Roat al quale chiediamo come hanno preso la decisione dell’assistente un anno fa i genitori del piccolo.
“Hanno deciso di seguire il percorso di genitorialità senza opporre grandi resistenze, tuttavia nel dicembre del 2013 hanno provato un tentativo di ricorso in Corte di Appello per opporsi all’affido e questo ha dato lo spunto alla zelante assistente di non aumentare gli incontri tra la famiglia e il bambino e dichiarare “ è chiaro che si prende atto di questo, non è una collaborazione questa. … È chiaro che questa sua azione non significa collaborare quindi il progetto non andrà avanti, fino a che non ci sarà [NdR. collaborazione] noi garantiamo e permettiamo solo le visite…”
L’unico modo per risolvere la questione è quella di far rimuovere da un superiore la signora dal suo incarico e questo lo si potrebbe ottenere con il diretto interessamento dell’assessore ai servizi sociali che fa capo alla struttura dove lavora la donna. La madre del bambino a questo punto vuole chiarire la situazione e impedire che l’operato arbitrario di una assistente sociale la colpisca ancora in quello che una donna ha di più caro al mondo: suo figlio.”
Un caso come tanti purtroppo che testimonia quanto l’arretratezza del nostro ordine giuridico possa compromettere il sorriso di piccole e grandi vite umane.