“Innanzitutto voglio subito lanciare questo messaggio: bisogna credere con tutte le forze di farcela, esserne convinte fino al midollo. Fidatevi se ne può uscire. Altra cosa fondamentale : mai nemmeno per un momento sentirsi come delle invalide.
Io l’ ho considerato un incidente di percorso, dal quale mi sono subito rialzata. Scacciare via i brutti pensieri e prendere questo momento come pausa di riflessione interiore per stare sole con voi stesse. Pensate ai vostri progetti, alle vostre passioni.
Il mio “alieno”, come lo chiamo io, era galoppante cioè attivo al 35% . Stava lavorando per me meglio di tante aziende italiane. Questo significa che dobbiamo fare controlli su controlli. Se non me ne fossi accorta in tempo non sarei qui.
E’ iniziato tutto una domenica di ottobre di 12 anni fa . Avevo 45 anni ed ero un agente di commercio. Eravamo in casa io e mio marito e stranamente mi appoggiai al lavello di cucina ed incrociai le braccia sui seni, forse per scaldarmi le mani ma non ricordo. Al seno sinistro sentii un bozzetto, andai da mio marito e glielo dissi. Anche lui lo sentì e cercò di tranquillizzarmi, sicuramente non era niente e poi anche il mio ginecologo diceva sempre che avevo il seno molto “spugnoso” e soggetto ad indolenzimento e gonfiore in prossimità del ciclo.
Sul momento mi tranquillizzai, ripromettendomi però che l’ indomani sarei andata a fare subito una ecografia. Chiesi a mio padre di accompagnarmi per non allarmare mia madre alla quale dissi che dovevo fare un controllo di routine, del resto in cuor mio, speravo ovviamente che fosse davvero un falso allarme. Mi dicevo che questa cosa non poteva accadere a me. Feci l’ esame ed il verdetto fu una doccia fredda.
Riuscii a non piangere, non volevo far preoccupare mio padre facendomi vedere affranta , pensai cosa dire a mia madre le sarebbe preso un accidente. Le dissi che avevo una cisti, non potevo rischiare di farla ammalare.
Da lì, visita dal mio ginecologo, che poi è stato il mio chirurgo, mammografia ed altra ecografia per essere certi. Dopo una sola settimana fui ricoverata nel reparto Ostetricia e Ginecologia al San Camillo di Roma.
Entrai il lunedì e fui operata il martedì per essere fuori il sabato. Accadde tutto in un soffio, in un turbinio di pensieri che affollavano la mia mente . Il mio primo pensiero era quello di farmi vedere forte e senza paura dai miei familiari, mia mamma in testa . Dopo due ore dall’ intervento, ancora mezza impastata di anestesia ricordo di aver chiesto di fare “pipì”. Evidentemente scattò subito dentro di me la voglia di reagire, di buttare fuori quel veleno che mi avevano iniettato per potermi operare.
Dopo 8-9 ore dall’operazione volli alzarmi, con tutto il trespolo “attaccato”, per andare in bagno. Dopo un giorno, anche se debole, giravo per le corsie, col mio trespolo. L'esito dell’ esame istologico fu: carcinoma della mammella quadrante esterno sinistro superiore.
Asportazione dei linfonodi fino al terzo livello. Seguì un mese di radioterapia, ai massimi livelli: due minuti di esposizione a radiazioni. Mi accompagnava mio padre. Uscivo dal laboratorio sorridendo, tanto che le altre signore mi chiedevano:” ma che ti ridi?” e io ridevo perché il tecnico radioterapista con le sue battute mi faceva divertire . Poi mentre mio padre mi riportava a casa mangiavo il mio bel panino.
Quell’ esperienza non mi ha lasciato segni “indelebili” nell’anima. Fisicamente mi manca un pezzo di seno ma chissenefrega; anche fosse stato un seno intero o tutti e due.
Sono passati dodici anni. I primi otto anni ho dovuto sottopormi a controlli serratissimi, poi senza abbassare la guardia, hanno leggermente allentato la morsa. Mi sono sorbita sei o sette tac, sette scintigrafie ossee, mammografie, ecografie, markers tumorali ogni sei mesi ma non mi sono SPEZZATA.
Ero io inoltre che dovevo consolare e dare forza a chi mi stava intorno. Questa, credo, sia stata la mia salvezza, per certi versi.
Una cosa positiva che ho tratto da questa esperienza, dovendo stare obbligatoriamente a riposo per almeno tre mesi, è che mi sono dedicata alle arti e ho scoperto di avere un talento innato per il decoupage. Ancora oggi decoro tegole, piatti, orologi da parete.
Non credo di dovermi definire una “miracolata”. Fortunata magari, ma sono stata sempre sicura nel profondo del mio animo che ce l’ avrei fatta. Lo sentivo dentro di me con forte convinzione, non ho mai creduto di dover morire. E’ questa la verità."