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Il M5S in preda alla sindrome di Stoccolma

Sono troppi i Grillini che, maltrattati oltre modo da Salvini, se ne sentono attratti.

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La sindrome di Stoccolma origina da un fatto criminoso accaduto nel 1973 a Stoccolma (vedere nota [1]in basso) durante il quale 4 persone prese in ostaggio subirono maltrattamenti. Ciononostante, essi provarono un sentimento positivo nei confronti dei loro aggressori che si spinse fino alla sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà tra loro e il carnefice.
Nel nostro caso, il carnefice sarebbe Salvini, il seviziato Di Maio.
Non si spiega altrimenti, se non con un sentimento narcisistico a sfondo psichiatrico, il disturbo comportamentale nel rapporto che lega, a fasi alterne, Luigino e Matteo. Cosa che ha sbigottito l’uscente presidente del consiglio Giuseppe Conte leggendo dei ponti d’oroche gli esponenti della Lega stanno facendo in queste ore ai Cinque Stelle, alle dichiarazioni di Salvini che ancora si dice disposto a “guardare avanti” se “i no diventano sì”. Offerte che, fuori da ogni logica, qualcuno, nel Movimento, continua a prendere in considerazione. “La durezza del mio discorso– ha ragionato Conte con i suoi – non ha impedito ai seviziatori della Lega di tornare dai seviziati 5Stelle. Però forse impedirà ai seviziati 5Stelle di cadere vittima della sindrome di Stoccolma e di tornare con i seviziatori”.
L’impressione è che Conte resterà deluso. Di Maio, a tutt’oggi, non ha mai pubblicamente detto che considera fattibile un nuovo governo, non ha mai fornito una purché minima disponibilità verso il centro sinistra. Si barcamena, con lingua triforcuta, senza esporsi. E aspetta solo che il fronte pro governo giallo rosso allenti la presa per tornare gaudente tra le braccia del suo seviziatore che lo nominerà Presidente del Consiglio per meglio manovrarlo e assoggettarlo, con buona pace degli avvertimenti di Giuseppe Conte.


[1]Il nome origina da un caso di sequestro di persone avvenuto il 23 agosto 1973, quando Jan-Erik Olsson, un uomo di 32 anni evaso dal carcere di Stoccolma dove era detenuto per furto, tentò una rapina alla sede della Sveriges Kreditbanken  e prese in ostaggio tre donne e un uomo (Elisabeth, 21 anni, cassiera; Kristin, 23 anni, stenografa; Brigitte, 31 anni, impiegata; Sven, 25 anni assunto da pochi giorni). Olsson chiese come riscatto anche la liberazione di un altro detenuto, Clark Olofsson; le autorità acconsentirono a tutte le richieste del sequestratore, compresa un'automobile per la fuga, ma rifiutarono di garantirgli la fuga insieme agli ostaggi. La prigionia e la convivenza forzata degli ostaggi con il rapinatore durarono oltre 130 ore al termine dei quali, grazie a gas lacrimogeni lanciati dalla polizia, i malviventi si arresero e gli ostaggi vennero rilasciati senza che fosse eseguita alcuna azione di forza e senza che nei loro confronti fosse stata posta in essere alcuna azione violenta da parte del sequestratore. l locale in cui i fatti si svolsero, e in cui le sei persone vissero per circa sei giorni, era simile a un corridoio, lungo circa sedici metri, largo poco più di tre e mezzo, ricoperto di moquette. La vicenda attirò l'attenzione dell'opinione pubblica svedese. Durante la prigionia, come risulterà in seguito dalle interviste psicologiche (fu il primo caso in cui si intervenne anche a livello psicologico su sequestrati), gli ostaggi temevano più la polizia che non gli stessi sequestratori. Rintanati all'interno di questo ambiente ristretto, a seguito di vari esempi di gentilezza da parte dei rapitori come Olsson che diede una giacca di lana all'ostaggio Kristin Enmark per il freddo o quando la calmò a seguito di un brutto sogno e o quando le permise di camminare fuori dal caveau collegata però a una corda di una decina di metri; a seguito di quest'ultimo evento, la vittima raccontò un anno dopo a una intervista al New Yorker che, sebbene fosse legato, sentì gratitudine nei confronti del carceriere e che tutta una serie di gesti da parte del rapitore portarono le vittime a pensare che nonostante tutto venivano trattate con gentilezza tanto che un altro ostaggio, Sven Safstrom, arrivò a dire che si potrebbe "pensare a lui come a un Dio di emergenza".Nel corso delle lunghe sedute psicologiche cui i sequestrati vennero sottoposti si manifestò un senso positivo verso i malviventi che "avevano ridato loro la vita" e verso i quali si sentivano in debito per la generosità dimostrata.

 

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