L’Istituto per la Prevenzione e la Sicurezza del lavoro, fa sapere che nel nostro paese su 21 milioni di occupati, un milione e mezzo sono vittime di mobbing ossia vessazioni da parte del superiore o datore di lavoro. Il fenomeno è maggiormente presente al nord con una percentuale del 65% per cento e colpisce più le donne per un buon 52% . Più del 70% dei mobbizzati lavora nella pubblica amministrazione e la categoria più colpita è quella degli impiegati con il 79%. I soprusi hanno per il 40% dei casi la durata di due anni, del 30% oltre due anni e il 27% va da sei mesi a un anno.
Nella classifica europea il triste primato del mobbing spetta all’Inghilterra con il 16,3%, seguita dalla Svezia con il 10,2%, Francia con il 9,9%, Irlanda 9,4%, Germania 7,3%. L’Italia si attesta al settimo posto con un modesto 4%, ponendosi fortunatamente al di sotto della media europea, ma con vessazioni che colpiscono per lo più le donne
La prima differenza di genere relativamente al mobbing riguarda l’età : per le donne il periodo più difficile è quello dai 25 ai 40 anni, quando ancora pende sulla testa dell’’azienda il periodo della maternità . Molto spesso i maltrattamenti si innescano proprio dopo l’assenza della lavoratrice dovuta alla nascita dei figli, quando rientrando al lavoro difficilmente vengono mantenute le condizioni esistenti prima del parto e spesso vi è una interruzione della carriera.
Per gli uomini, l’età di maggior rischio è dai 50 ai 65 anni. Gli aggressori in tal caso sono giovani rampanti neo entrati in azienda, pieni di energia e spirito competitivo che spesso li incentiva a scavalcare la professionalità dei più anziani e mirare ai vertici aziendali. Sono poi differenti i metodi e i modi di aggressione. L’aggressione femminile, come anche la reazione femminile è più palese, esplicita e a volte più evidentemente violenta, sconfinando a volte anche nella vita personale della vittima. Quella maschile è più silente, oggettiva e strategica.
Dal mobbing derivano numerose conseguenze: l’interruzione o il peggioramento della vita professionale in primis, ma anche – e purtroppo spesso – danni alla salute, giacché frequentemente si sviluppa una forma cronica di sindrome da disadattamento. La persona si sente inadeguata in ogni contesto esistenziale. Il senso di inadeguatezza invade anche la vita familiare, relazionale e affettiva della vittima con conseguenti separazioni, divorzi ed emarginazione familiare e sociale. Importante agire subito: trovare il giusto sostegno psicologico tra le varie associazioni presenti in Italia per resistere, procurarsi immediatamente un’assistenza legale per far fronte al quotidiano e poter valutare le possibili vie d’uscita.