“Inammissibili”.
Così, ieri, la Corte Costituzionale ha dichiarato (respingendoli) i ricorsi per conflitto di interessi tra poteri dello Stato, promossi da sei Regioni (Basilicata, Puglia, Liguria, Marche, Sardegna, Veneto) sulla questione delle trivellazioni. Questione che, il prossimo mese (precisamente il 17 aprile), sarà al centro di una consultazione referendaria dedicata.
Il motivo della bocciatura sembra essere un vizio di forma: non è stata “espressa” – così si legge nella sentenza, e bisogna intendere come “non è stata espressa in tempo” – “la volontà di sollevare detti conflitti da almeno cinque dei Consigli regionali che avevano richiesto i referendum”. Quindi, almeno la metà: propositori di essi, infatti, erano stati, a partire da settembre 2015, oltre alle sei regioni suddette, firmatarie dei ricorsi, anche Calabria, Abruzzo, Campania e Molise.
Le colpe, però, evidentemente vanno cercate nel novero delle realtà regionali ricorsiste: in pratica è successo che, a causa dei tempi tecnici non collimanti per la convocazione dei vari Consigli, la necessaria delega, cioè l’incarico formale, al rappresentante delle Regioni nel comitato referendario l’ha votata il solo Veneto. E questo non è bastato: anzi, non è risultato valido affinché i due quesiti referendari stralciati venissero riammessi.
Essi riguardavano il piano delle attività estrattive degli idrocarburi e il regime iterativo delle concessioni, più chiaramente la possibilità di prorogare la validità dei titoli abilitanti a quelle estrazioni. Essi erano stati depositati presso la Cassazione nei confronti del Presidente del Consiglio Renzi, del Parlamento e dell’Ufficio centrale per il referendum. Comunque la regione Veneto, la più coriacea in questa battaglia, affiancata dalla Puglia è già pronta, stando a quanto dice l’Ansa, a contestare la decisione della Corte.
Quattro giorni dopo le idi di aprile, dunque, i cittadini saranno chiamati alle urne per esprimere il loro parere in merito alla durata delle concessioni entro le dodici miglia marittime. Mettendo un “sì” sulla scheda, e quindi venendo incontro ai desiderata del comitato “Vota sì per fermare le trivelle”, gli elettori aboliranno la norma che estende, senza scadenze, le attuali concessioni di estrazione e di ricerca di petrolio e gas entro le dodici miglia dalla costa.