La mitologia dell’atletica vuole da sempre che le ali ai piedi di Mercurio li abbia rubati un Prometeo proveniente da qualche tribù africana. Che poi, per prometeico eccesso di generosità razziale, ne avrebbe condiviso il potere col resto del Continente nero.
E la leggenda africana nell’atletica continua. Ai campionati mondiali di Pechino l’etiope Mare Dibaba ha conquistato l’oro alla maratona femminile di domenica. Se anche non fosse riuscita a coglierla, la vittoria sarebbe stata comunque affare africano: alle sue spalle, e per un solo secondo di ritardo rispetto alle due ore, ventisette minuti e trentacinque secondi totalizzate dalla prima classificata, si è infatti piazzata una keniota, Helah Kiprop.
Ma in pratica tutto il podio è un inno al Black Power nell’arte che fu di Fidippide: anche la medaglia di bronzo, infatti, è andata a cingere il collo di un’atleta africana, più precisamente Bahraini Eunice Kirwa, anch’ella etiope.
Mare Dibaba Hurrsa, venticinque anni, è nata nella travagliata regione etiope dell’Oromia, teatro negli ultimi anni di scontri sanguinosi tra studenti e forze dell’ordine. Ha debuttato come maratoneta nel 2007 nei campionati nazionali dei ventiquattro chilometri, correndo per il team della polizia della sua regione. L’anno dopo, a diciotto anni, la sua prima gara internazionale, corsa in Italia, alla mezza maratona di Udine. Il suo primo piazzamento alla mezza maratona Ras al Khaimah, seconda dietro Elvan Abeylegesse.
La prima medaglia d’oro invece, è arrivata nel 2011 alla mezza maratona dei Giochi panafricani. Quella di Pechino è la seconda, ma è certamente la più importante.

