Jannick Sinner sta giocando un tennis quasi perfetto. Ma qualsiasi analisi tecnica passa in secondo piano rispetto a un fattore che lo rende in questo momento ingiocabile: mortifica qualsiasi opzione tattica e qualsiasi arma che i suoi avversari possano mettere in campo. Riducendo, fino ad azzerarle, le possibilità che la partita possa essere contesa.
Medvedev in semifinale e Dimitrov in finale hanno sperimentato quella che nello sport viene vissuta come una resa incondizionata: la manifesta inferiorità .
Nella boxe, sport simile al tennis per la tensione dell’uno contro uno, ferma gli incontri, per preservare l’incolumità fisica di chi soccombe. Nel calcio, rito e fatica collettiva, si manifesta nelle goleade che segnano più la dignità di chi le subisce che il valore di chi esprime il dominio.
Nel tennis di Sinner la manifesta inferiorità dell’avversario sta diventando un marchio di fabbrica. Finisce stampato negli sguardi di chi sta dall’altra parte della rete, nei gesti che descrivono l’impotenza, nella sincera ammirazione che accompagna la stretta di mano finale. Anche il pubblico, che da sempre tifa per le partite più lunghe e contese, a maggior ragione in una finale, si esalta nella chiusura implacabile di un match non giocato.
Le leggi non scritte dello sport dicono che Sinner tornerà a perdere le partite o a vincerle dopo averle sudate. In questo momento, è l’atleta più dominante che lo sport possa esprime. E, prima ancora che i punteggi delle sue partite, ci sono i suoi avversari a celebrarlo come un fenomeno assoluto, non solo perché più forte ma anche perché ingiocabile.
(Di Fabio Insenga)