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Italrugby, terzo cucchiaio di legno assicurato

Nuovo pesante tracollo nel penultimo turno

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Meno male che il rugby, tutto sommato, non è lo sport più popolare in Italia.

Meno male che la nazionale italiana di rugby non è così seguita e idolatrata come quella di calcio. Meno male. Altrimenti intorno agli azzurri del pallone ovale e alla Federazione italiana di rugby si sarebbe già da tempo venuto a creare un clima di piombo, prima di tutto dal punto di vista mediatico. Ghigliottine, processi, disquisizioni sui patrii destini infangati, lutti nazionali: fortuna quindi che, almeno in questo caso, la palla non è rotonda.  

Niente da fare: nel nobile e virile sport fondato come un atto di ribellione da William Webb Ellis (uno che del calcio non ne poteva più, già nell’Inghilterra del XIX secolo), l’Italia è una di quelle nazioni che vorrebbe farsi avanti e crearsi un blasone, ma proprio non ci riesce. Nonostante lo storico salto di qualità, avvenuto ormai sedici anni or sono (parliamo del 2000), e cioè il suo ingresso nel torneo d’elite del rugby continentale - il Cinque Nazioni, ribattezzato appunto Sei Nazioni con l’allargamento alla nazionale allora allenata da Brad Johnstone -, l’Italia rugbysticamente non è ancora riuscita a diventare una superpotenza: a volte non vale quel proverbio per cui, a frequentare i migliori, si diventa migliori a propria volta.

Raramente, da quando sono entrati nel gotha del Sei Nazioni, i nostri azzurri sono riusciti ad evitare l’ultima posizione (in gergo, cucchiaio di legno): il miglior piazzamento resta quello del 2013, quando conclusero il torneo terzi a pari punti con la Scozia. Ma dal 2014 ( il torneo si disputa annualmente, salvo alcune eccezioni) sono tornati alle loro peggiori tradizioni: ultimi in classifica due anni fa e ultimi in classifica anche l’anno scorso. E non c’è due senza tre, sembra voler dire questo 2016.

Infatti, dopo quattro giornate, l’Italia ha collezionato altrettante sconfitte ed è sola, disperatamente, in fondo alla graduatoria a 0 punti. E quando parliamo di sconfitte vogliamo intendere, in taluni casi, scoppole memorabili: 9-40 con l’Inghilterra in casa il giorno di San Valentino e, nell’ultimo turno, lo scorso sabato, un non meno terribile 58-15 in Irlanda, a Dublino. Gli irlandesi sono campioni in carica, ma non erano partiti col piede giusto in quest’edizione: quella contro gli azzurri fanalino di coda è infatti la loro prima vittoria. In precedenza, erano riusciti a racimolare solo un pareggio col Galles.

A determinare il punteggio sono state nove mete irlandesi: ricordiamo che una meta, in sé e per sé, vale cinque punti, dunque quarantacinque in tutto; ma ad essi vanno aggiunti anche i punti derivanti dalle cosiddette mete di trasformazione, che sono quasi l’equivalente dei calci di rigore (si tratta cioè di tiri calciati che devono superare l’incrocio dei pali di quella porta, tipica del rugby, che ha la forma di una H), e ognuno di essi, se trasformato, vale altri due punti. Poi ci sono le mete derivanti da calci di rimbalzo e le mete con calcio piazzato dalla lunga distanza che valgono 3 punti ciascuna. L’Italia ha  cercato di difendersi con coraggio, ma con i suoi elementi migliori, Biagi e Fuser, messi fuori casa già nel primo tempo, non avrebbe davvero potuto fare più di questo.

Domani si chiude in Galles contro la squadra seconda in classifica: destino già scritto o pomeriggio da leoni, per tentare almeno di lottenere la vittoria della bandiera?

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