Può sembrare sorprendente, ma fino ad un mese fa nel capitolo della conquista scientifica dello spazio gli Usa avevano ancora qualcosa da invidiare all'ex URSS.
E cioè le foto della misteriosa altra faccia della Luna: le prime, e per decenni uniche, le scattò infatti alla fine degli anni ’50 una sonda sovietica, la Luna 3, il cui storico successo fu dovuto anche all’utilizzo di una cellula fotoelettrica puntata sul Sole e sulla Luna, a far da navigatore astrale.
Poi, per cinquant’anni, più nulla, finché lo scorso luglio (ma la notizia in Italia è stata resa ufficiale meno di settantadue ore fa) un satellite americano, che si occupa di monitorare i venti solari intorno alla Terra, non ha fatto di più e meglio.
Parliamo del “Deep Space Climate Observatory”, dal 15 febbraio 2015 strategicamente piazzato a centomila miglia di distanza dal Belpianeta: esso è riuscito nell’impresa di catturare la metà oscura della Luna mentre questa danzava, odalisca silenziosa oltre che placida ancella, attorno al disco verde-azzurro-marrone della Terra, più precisamente all’altezza della porzione di Oceano Pacifico che bagna il Nordamerica.
L’occhio fotografico del DSCO è la fotocamera “Epic”. E, a patto che non si tenga conto che, in effetti, è soltanto un acronimo di Earth Polychromatic Imaging Camera, il suo nome, si potrebbe dire, è una garanzia: lo si vede dagli scatti che ha prodotto in quest’occasione, veramente “epici” e di valore epocale, oltre che di sorprendente bellezza.
E la Terra, nonostante i suoi molteplici problemi ambientali, ci fa la sua figura.