I ricercatori dell'Università di Bristol sono riusciti a trovare un metodo per neutralizzare le malattie autoimmuni, come la sclerosi multipla o il diabete di tipo 1. A pubblicarlo è stata la rivista scientifica Nature Communication: questo studio potrebbe essere un rimedio contro le patologie di immunodeficienza.
La Welcome Trust ha finanziato uno studio effettuato da ricercatori britannici, riguardo le malattie autoimmuni. Queste si basano sull'incapacità del sistema immunitario di far cessare quei processi che si attuano contro l'organismo alla fine di una risposta infiammatoria. Gli attacchi possono essere indirizzati verso singoli distretti, tessuti, organi o apparati oppure direttamente o indirettamente sull'intero organismo (malattia autoimmune sistemica). Dal concetto di malattia autoimmune non si deve confondere quella di reazione autoimmune, la quale è un normalissimo fenomeno biologico di autodifesa. Il sistema immunitario, attraverso segnali chimici, solitamente agisce quando un organismo entra in contatto con agenti esterni, non riconosciuti dal corpo stesso, cercando di rigettarli. Detto in un altro modo, la malattia insorge quando la complessa macchina del sistema immunitario non riconosce più ciò che appartiene all'organismo da ciò che ne è estraneo.
Gli studiosi britannici hanno così cercato di intervenire attraverso una tecnica chiamata desensibilizzazione, che solitamente ha ottenuto successo contro certe forme di allergia, per reindirizzare le cellule “anarchiche”. È stato fatto, con discreto successo, utilizzando proteine, che di norma sono il bersaglio di auto-attacco in malattie come la sclerosi multipla, e si è osservato che i risultati miglioravano aumentando, lentamente e progressivamente, la quantità di antigene (proteina) iniettata. Questa “cura” sperimentale rappresenta un grandissimo passo avanti nella lotta contro malattie quali lupus eritematoso sistemico, diabete di tipo 1, malattia di Graves, sclerosi multipla; senza trascurare l'importanza di poter abbandonare finalmente i trattamenti invasivi con farmaci immunodepressori, che rischiano di far insorgere altre malattie come il cancro. La tecnica ora è in fase di approfondimento e perfezionamento presso la società di biotecnologie Apitope, divisione dell'Università di Bristol.