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La morte di Robin Williams: l'ombra dietro il sorriso

L'amatissimo attore soffriva di Smiling Depression, di cosa si tratta?

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Quando arriva Natale, i bambini abituati ad andare a scuola si svegliano prestissimo. Fuori fa freddo, la mamma riscalda loro il latte e accende la televisione. E via così ai cartoni animati e ai film di stagione! Spesso sono film degli anni 90, i film che anche noi adulti guardavamo alla loro età.

Perciò, se si mostra ad un bambino o ad un adolescente la foto di Robin Williams, sono sicura che lo riconoscerà. Magari non con il suo nome, ma saprà che quello è Pach Adams, il clown degli ospedali, o Alan Parrish, rimasto intrappolato in Jumanji. 

Insomma, Robin Williams vive di generazione in generazione, i suoi film vengono ancora trasmessi agli orari giusti perché i più piccoli li possano guardare. E, tra una risata e un'avventura, insegna i valori dell'amicizia, del coraggio e della gentilezza. I suoi film commuovono ancora.

Il fatto, però, è che Robin Williams è morto. Se n'è andato a 63 anni, trovato suicida nella sua casa in California a mezzogiorno dell'11 Agosto 2014. La causa: depressione. O meglio, una malattia neurodegenerativa non diagnosticata che ne imitava i sintomi.

 E' stata una morte che ha scioccato il mondo: nessuno poteva e voleva crederci.

Come può un attore come Robin Williams, sorridente nei film come nella vita, benefattore senza la necessità di sbandierarlo, essersi tolto la vita? Come può una persona sempre allegra come lui avere la depressione?

 Quando pensiamo a questo disturbo, è uno l'archetipo specifico a cui pensiamo: persone con tono dell'umore basso, lassismo, insonnia o ipersonnia, ritiro dalla vita sociale. Eppure, specie negli ultimi anni, stanno aumentando i casi di quella che viene chiamata "smiling depression".

Smile, sorriso. Questo tipo di depressione è nota solo a chi la prova. Ci sono diverse forme di smiling depression: quella di Robin Williams dipendeva da una malattia che ne imitava i sintomi; altre persone provano rabbia, invece che tristezza. Altre ancora manifestano dei sintomi fisici, ovvero somatizzano la malattia.

Potremmo parlare di tecnicismi a non finire, ma la cosa importante è una sola: una famiglia che pensa che vada tutto bene, ma che un giorno torna a casa e scopre un suo membro morto suicida.

Difficilissima da diagnosticare, questa infida forma di depressione spesso dipende dalla incapacità del paziente di accettare di avere un problema, o dal desiderio di non voler fare preoccupare i cari.

Uno studio della Dottoressa Olivia Remes, psicologa dell’Università di Cambridge (UK) rivela che questa depressione ha un decorso molto lungo, dovuto proprio all'impossibilità di notarla dall'esterno. Negli ultimi anni, i casi di Smiling Depression sono aumentati, tant'è che colpisce tra il 15% e il 40% dei soggetti depressi ed è più frequente tra le persone che tendono alla ruminazione (pensiero continuo e ossessivo) e chi è sensibile alle critiche degli altri.

C'è sempre una sottostima della necessità di chiedere aiuto, quando si parla di malattie mentali. Una ferita la si vede, un disturbo psichico no: la paura della stigmatizzazione, di passare per pazzo, è radicata ancora oggi. E la colpa è della società: quante volte si sentono storie di depressi a cui viene detto di "smettere di essere depressi" o di "fare qualcosa che li faccia stare meglio"? Come se non ci avessero già provato, come se potessero!

Il depresso, poi, è una persona ostinata: quando decide di suicidarsi, farà di tutto per raggiungere il suo obiettivo. E ciò comprende passare inosservato, agire come se fosse tutto nella norma, non attirare l'attenzione su di sé.

E' atroce immaginare la pena che queste persone provano. Privarsi della vita è l'atto più estremo, l'unico da cui non si torna indietro, eppure in troppi sono disposti a tutto pur di smettere di soffrire.

Come si riconosce la depressione sorridente? Non si può, a meno che chi ne soffre non lo ammetta. Come nel caso di Robin Williams: solo l'autopsia ha determinato il suo male, la demenza ai corpi di Lewy, scambiata per Parkinson. La malattia ha portato l'attore ad una depressione clinica soverchiante, che ha deciso di nascondere per non essere ostacolato nel togliersi la vita. 

In una società come la nostra, in cui apparire felici è sinonimo di essere dei vincenti, c'è poco spazio per chi si sente triste. Quando si è sempre sotto l'occhio critico degli altri (e non parlo solo di gente famosa, ormai con i social network si è costantemente esposti al giudizio) l'impressione che si da di sé diventa l'unica cosa che conta.

Per questo bisogna parlarne il più possibile. Bisogna che le persone che nascondono la depressione dietro un sorriso sappiano che c'è un sistema di supporto pronto ad accoglierli e disponibile a non giudicarli, un sistema di amici e parenti che non vogliono necessariamente i suoi sorrisi, ma lo vogliono in vita.

Nove anni fa moriva Robin Williams, buttando luce su questa subdola forma di depressione. Che il suo sacrificio non sia vano: celebriamo la sua vita, diffondendo consapevolezza e stando vicino ai nostri cari, perché storie del genere non si ripetano.

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