Una porcata. Non è (o meglio non è soltanto) la formula che Calderoli usò per la sua legge elettorale, ma (anche) la definizione che i senatori del M5S hanno dato della riforma del Parlamento, attualmente in discussione a Palazzo Madama. E così, pieni di sdegno, anziché persistere nell’ostruzionismo hanno abbandonato i lavori. Consentendo di rendere più fluido il voto. Erano quasi le sedici di lunedì 4 agosto.
Nelle ore successive sono passati gli articoli 3 e 4 del testo della riforma. Il primo riguarda i cinque senatori di nomina presidenziale, per i quali si prevede un mandato non rinnovabile di sette anni. Il secondo definisce i tempi del mandato relativo alla Camera, quantificati in un lustro. Poi è stata la volta degli articoli 8 e 9. Con l’8 si è votata la conferma, nel nuovo Parlamento, di un principio cardine della Costituzione, e cioè l’assenza del vincolo di mandato per i suoi membri; con il 9 la modifica dell’articolo 71 della Carta: in base ad essa un senatore avrà facoltà di presentare un disegno di legge, ma solo alla Camera. Continua senza pietà la “falciatura” degli emendamenti ritardanti: dopo la consistente bonifica operata nei giorni scorsi col sistema del “canguro”, oggi sono stati respinti tutti quelli che le opposizioni avevano presentato. Il sogno proibito di Renzi è sempre quello: arrivare alla piena approvazione della riforma prima del prossimo fine settimana.