Solo se la Pinotti schiera l’esercito mi si potrà far fuori dal mio partito. Quella è casa mia”. Scissione evitata, almeno per il momento. Ma la tensione nel Pd dopo la tesissima direzione di ieri che ha approvato la relazione del segretario-premier Matteo Renzi con l’apertura alla minoranza sull’Italicum, resta altissima. E a farsene portavoce è ancora una volta Pierluigi Bersani che non utilizza troppi giri di parole per fare sapere il suo pensiero. “E comunque – ha spiegato ai giornalisti l’ex segretario nazionale - una commissione non si nega a nessuno: ma se si tira dritto, non si tirerà dritto con il mio Sì, si tirerà dritto con il mio No”. Bersani però non vuol sentire parlare di divisioni che potrebbero portare i dissidenti a fondare addirittura un nuovo raggruppamento a sinistra: ipotesi questa smentita seccamente. Ma rimarca anche l’importanza della questione sollevata, quel combinato referendum-legge elettorale che davvero non gli va troppo giù. “Chi guarda in buona fede le cose di cui stiamo discutendo non può non vedere, non tener conto, che l’incrocio tra le due riforme, quella della Costituzione e l’Italicum, comporta una modifica profonda della forma di governo: una modifica che io ritengo negativa e, con quel che succede nel mondo, anche pericolosa”.
Di addio al partito vuole sentire parlare nemmeno Roberto Speranza, anche lui tra i più agguerriti oppositori alla linea di Matteo Renzi: “Lunedì – chiarisce - abbiamo fatto una discussione vera. Si può stare dentro il Pd e pensarla diversamente, le scissioni non esistono”. E lancia una sorta di salvagente a Gianni Cuperlo che aveva fatto balenare, durante un intervento appassionato e a tratti fortemente emozionato, l’idea di dimettersi da deputato se non si fosse trovato un accordo vero sulla legge elettorale. “Cuperlo – ha proseguito Speranza - ha fatto un discorso che credo segnali che chi sta andando verso il No non lo faccia a cuor leggero. È una posizione molto difficile a cui si arriva perché non si è riusciti a trovare un’altra soluzione. Dopo di che io sono convinto che, qualsiasi sia lo scenario, bisogna convincerlo a non dimettersi perché il Parlamento ha bisogno di uno come lui”.
Niente scissione neppure per Miguel Gotor, ma “l’intervento di del premier è stato insufficiente per due ragioni. La prima è di avere rinviato l’eventuale cambio della legge elettorale a dopo il referendum costituzionale. La seconda è la negazione in modo persino irridente del cuore politico della questione: l’incrocio, a nostro giudizio pericoloso, tra riforma del Senato e la legge elettorale che continua ad essere giudicato un alibi”.