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M, il ritorno di Santoro

Un contributo d’autore alle riflessioni sul caso Moro

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Il titolo è come un sorprendente camaleonte.

M è un omaggio al film di Fritz Lang del 1931: Santoro dixit ac explicavit. Eppure potrebbe anche stare proprio per Michele (Santoro), il marchio di fabbrica del progetto. E, dato il tema di questa nuova edizione del programma, che è la terza ed è iniziata da due giovedì, non si vede perché non possa indicare Moro. De eo loquitur, infatti, nello studio-anfiteatro torinese che è l’ultimo approdo santoriano, su Raitre.

E, con le quattro puntate sul caso Moro (argomento obbligato, nel quarantennale di una delle pagine più oscure della storia dell’Italia repubblicana), M torna alle origini, cioè alle caratteristiche della prima edizione. Torna, quindi, alla monografia storica, con tanto di protagonista dell’epoca ospite in studio. Rigorosamente trapassato, e quindi fatto rivivere nell’interpretazione di un attore. C’era Hitler, nelle due puntate della mini-stagione inaugurale (fine giugno 2017): al dittatore nazista prestava volto e corpo Andrea Tidona. All’inizio del ciclo Moro abbiamo visto Andreotti e Cossiga, impersonati rispettivamente da Remo Girone e Diego Verdegiglio,  e anche Eleonora Chiavarelli, la vedova dello statista di Maglie,  portata in scena da Paola Pitagora. Non mancava neppure lo stesso Moro (Gaetano Aronica), collegato in alcuni momenti della serata (per leggere brani delle sue lettere) direttamente dal carcere del popolo.  

Nella seconda puntata gli ospiti extratemporali sono stati Enrico Berlinguer (Ninni Bruschetta), Mario Moretti (Paolo Briguglia), Steve Pieczenik (Jon Firman), e altri ce ne saranno, nelle prossime due. Il trait d’union fondamentale  tra la prima e l’ultima stagione di M è dunque proprio la presenza di personaggi provenienti (o “convocati”) da altre epoche che si trovano a rispondere alle domande di Santoro, fianco a fianco con ospiti viventi. L’elemento di continuità tra il ciclo Moro e l’intero percorso  di M (inclusa la seconda stagione, maggiormente centrata sull’attualità sociale e quindi sulle consuete tematiche da talk show,  anche se non è mancato un passaggio di Oriana Fallaci, nell’interpretazione di Stefania Rocca), si individua invece nella presenza della docu-fiction, che illustra i temi della puntata parallelamente al dibattito e all’approfondimento in studio. La docu-fiction, in realtà, M la eredita dalla precedente esperienza televisiva di Santoro, Italia, un talk andato in onda a cadenza irregolare per quattro puntate dall’ottobre 2016 al gennaio 2017.

Sono quindi tre i livelli di fiction che caratterizzano la struttura di un programma come M. Abbiamo, nell’ordine: il livello integrato, in cui la finzione scenica è tutt’uno con il dibattito tematico (gli ospiti impersonati da attori); il livello interattivo, in cui la finzione scenica è spazialmente lontana dallo studio ma partecipa degli sviluppi della puntata (Aldo Moro che si rivolge a Cossiga con la sua lettera); e infine il livello parallelo, dove c’è una narrazione di temi assolutamente separata dall’andamento della puntata in studio, ma che contribuisce ad un più efficace svisceramento delle tesi che nel dibattito in studio si vogliono far emergere (la docu-fiction). Nella stagione di M attualmente in onda, il livello parallelo è rappresentato dal racconto sceneggiato della vicenda di Mino Pecorelli. Il giornalista di Op, ucciso un anno dopo la conclusione della vicenda Moro per i segreti che di quella vicenda era riuscito a conoscere, è interpretato da Carmelo Galati.

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