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Il nero per raccontare 50 sfumature di noia e banalità

50 sfumature di nero viste da Gianluca Ottuso

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Un grande successo al botteghino, un notevole afflusso di gente nelle sale per vedere il secondo capitolo di: “ 50 sfumature”; questa volta il colore in questione è il nero ( nel primo capitolo fu il grigio).

L'identificazione di un colore per cercare di spiegare, raccontare e descrivere le perversioni sessuali della civiltà contemporanea attraverso la parabola sentimentale dei due protagonisti differenti nella appartenenza alla propria classe sociale, ma uniti nel loro viaggio verso la scoperta di se stessi passando da i meandri sconfinati del sesso estremo. Se nel primo capitolo (50 sfumature di grigio) con il colore si voleva stare ad indicare l'aspetto “Bondage” della perversione sessuale, in questo (50 sfumature di nero), con ancora molto più imbarazzo registico, si cerca di concettualizzare l'aspetto “Sadomaso” attraverso le sfumature, appunto, del colore nero. A prescindere dalle tonalità cromatiche prese in questione per cercare invano di concettualizzare l'estremità del sesso e tutti i suoi rimandi psicologici verso l'universo maschile e femminile attraverso la società odierna, il dittico delle “50 sfumature” appare irrimediabilmente e assolutamente sfumato in quanto incolore.

Il film è assolutamente piatto e insipido, non ha ritmo e la sceneggiatura è da considerarsi senza colpo ferire di bassa lega. La prova recitativa dei nostri due protagonisti è imbarazzante in quanto vi è assoluta mancanza di espressività e di trasporto emotivo. Il tutto poi impastato alla rinfusa in un soggetto che praticamente non esiste e costruito per impressionare prevalentemente un popolo di teenager, di “milf” e “cougar” innamorate del fisico statuario del nostro protagonista “Christian Grey” (l'attore “Jamie Dornan”)e del suo ruolo di “dominatore” verso la sciattezza fatta persona della nostra “Anastasia Steele” (l'attrice “Dakota Johnson) priva di sensualità e di un minimo di avvenenza e procacità. La prova registica di James Foley è da considerarsi assolutamente insufficiente dove all'interno dei suoi fin troppi lunghi 118 minuti di durata, troviamo sentimenti di noia, banalità estrema, scontatezza nel mare in burrasca del cinema del “non-sense”. All'interno della pellicola non esiste un minimo di fotografia che possa risultare accettabile e il montaggio stesso è a dir poco pietoso.

Lo stesso “Foley” cerca, attraverso la morale del film pervasa da una retorica spicciola ed effimera, di salvare l'integrità dell'universo femminile, dove l'amore di Anastasia vince, alla fine di un finale scontato e imbarazzante, verso la perversione dominatrice regressa dello stesso “Grey” che le chiederà di sposarlo. Il cinema erotico è stato sempre una colonna portante e fondamentale per la Settima Arte, non solo per presentare in maniera netta il connubio tra sesso e società, ma anche per cercare di spiegare la psiche e il suo plasmarsi attraverso il linguaggio del corpo verso la società e i suoi mutamenti di ieri e di oggi.

Alcuni esemplari esempi di questo cinema sono: “Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci del 1972”, “ Histoire d'O di Just Jaeckin del 1975”, “Tokyo decadence di Ryù Murakami del 1992”, “Sex and Zen di Michael Mak del 1991”, “Nynphomaniac vol I e vol II di Lars Von Trier del 2014”. Infine il nostro “Cinquanta sfumature di nero” non è neanche lontano parente di questi film citati, non è nemmeno la versione “Trash” degli stessi, ma è soltanto una manovra commerciale e azzeccata( visto gli incassi) della trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo best-seller.

 Il cinema è anche industria oltre che arte, quindi va dato atto del successo delle “50 sfumature” sia per quanto riguarda la casa produttrice (Universal Pictures) che ha creduto in questo progetto, che allo stesso regista James Foley che sicuramente e giustamente si compiace del successo ottenuto,ma sopratutto va reso merito al pubblico vero è proprio cardine da sempre e per sempre nel decretare il successo di un opera. Il mezzo è sempre giustificato dal successo che decreta il pubblico, quindi lo stesso merita sempre doveroso rispetto a prescindere dalle analisi critiche e tecniche di un opera o anche dalle dietrologie banali e non delle stesse.

 

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