Vinicio Capossela e la Banda della Posta hanno concluso ieri sera il loro trionfale tour estivo all’Obihall di Firenze. In tutto 27 date e oltre 150.000 spettatori per un concerto festoso e appassionato, che unisce senso della frontiera, esotismi western mariachi e musica da ballo, i trilli dei mandolini dei fratelli Briuolo e la chitarra surf di Asso Stefana, l'aia e il dancing da veglione, quadriglie lucane e rancheras messicane.
Per presentare la Banda della posta al pubblico, Capossela ha spiegato: «Lo sposalizio è stato il corpo e il pane della comunità. Il mattone fondante della comunità, veniva consumato con il cibo e con la musica. Questa musica che accompagnava il rito era musica umile, da ballo, adatta ad alleggerire le cannazze di maccheroni e a "sponzare" le camicie bianche, che finivano madide e inzuppate, come i cristiani che le indossavano. Un repertorio di mazurke, polke, valzer, passo doppio, tango, tarantella, quadriglia e fox trot, che era in fondo comune nell'Italia degli anni ‘50 e ‘60 e che si è codificato come una specie di classico del genere in un periodo nel quale lo "sposalizio" è stata la principale occasione di musica, incontro e ballo».
A Calitri, in alta Irpinia, qualche anno fa, un gruppo «di anziani suonatori di quell'epoca aurea, non priva di miseria, ha preso l'abitudine di ritrovarsi davanti alla posta nel pomeriggio assolato. Montavano la guardia alla Posta, per controllare l'arrivo della pensione. Quando l'assegno arrivava, sollevati tiravano fuori gli strumenti dalle custodie e si facevano una suonata. Il loro repertorio fa alzare i piedi e la polvere e fa mettere ad ammollo le camicie sui pantaloni. Ci ricorda cose semplici e durature. Lo eseguono impassibili e solenni, dall'alto del migliaio di sposalizi in cui hanno sgranato i colpi. Per questo - conclude Capossela - si sono guadagnati il nome di Banda della Posta».