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Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza te sono morta

Paolo Borsellino e la picciridda Rita Atria, vittime di mafia, il ricordo a trentuno anni dalle stragi

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Si è concluso il lungo periodo dell’anniversario delle stragi di mafia in cui furono assassinati i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Francesca Morvillo (anche lei magistrata e moglie di Giovanni Falcone) e gli agenti delle loro scorte Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. A trentuno anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio tante le cerimonie e molti i luoghi in cui sono ricordati. 

Oltre Paolo Borsellino e gli agenti della scorta la strage di Via D’Amelio ebbe una settima vittima, morta qualche giorno dopo per una coincidenza della vita in Viale D’Amelia a Roma: Rita Atria. Giovanissima decise di collaborare con la giustizia e denunciare a Paolo Borsellino tutto quel che sapeva e aveva scoperto in famiglia. Tra Rita Atria e Paolo Borsellino, che la definiva la sua “picciridda”, si era instaurato un rapporto fortissimo: «Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta» le parole della ragazza, diciassettenne, dopo la strage di Via D’Amelio. 

Rita trovò la morte una settimana dopo la strage di Via D’Amelio, giù dal balcone dell’abitazione in cui si trovava in Viale D’Amelia a Roma. Ufficialmente suicidio. L’anno scorso un libro, edito da Marotta&Cafiero e scritto dalle giornaliste Giovanna Cucé e Graziella Proto e dalla vicepresidente dell’Associazione Antimafie Rita Atria Nadia Furnari, al termine di un lungo lavoro di ricerca ed inchiesta è tornato a porre i riflettori sulla morte di Rita. “Io Sono Rita. Rita Atria, la settima vittima di Via D’Amelio”, è il titolo del libro che pone l’attenzione alla gestione della sicurezza della giovane nei giorni e nei mesi precedenti e alcune incongruenze nelle indagini sulla morte che hanno lasciato molti interrogativi insoluti. E che hanno portato alla presentazione di un esposto da parte dell’avvocato Goffredo D’Antona a nome della sorella e dell’associazione, attiva anche nella nostra regione, per chiedere la riapertura delle indagini. 

Rita Atria avrebbe compiuto 18 anni il 4 settembre 1992 e in quell’estate, a poche settimane dalla strage di Capaci, ebbe gli esami di maturità. Tra le tracce della prima prova il tema “La morte del giudice Falcone ripropone in termini drammatici il problema della mafia. Il candidato esprima le sue idee sul fenomeno e sui possibili rimedi per eliminare tale piaga”. Fu la traccia che Rita scelse e le parole che scrisse sono diventate, negli anni, il suo testamento morale, il suo lascito di ideali e pensieri. «Giudici, magistrati, collaboratori della giustizia, pentiti di mafia, oggi più che mai hanno paura, perché sentono dentro di essi che nessuno potrà proteggerli, nessuno se parlano troppo potrà salvarli da qualcosa che chiamano mafia – si legge nel tema, integralmente disponibile sul sito dell’Associazione a lei intitolata - Ma in verità dovranno proteggersi unicamente dai loro amici: onorevoli, avvocati, magistrati, uomini e donne che agli occhi altrui hanno un'immagine di alto prestigio sociale e che mai nessuno riuscirà a smascherare. Ascoltiamo, vediamo, facciamo ciò che ci comandano, alcuni per soldi, altri per paura, magari perché tuo padre volgarmente parlando è un boss e tu come lui sarai il capo di una grande organizzazione, il capo di uomini che basterà che tu schiocchi un dito e faranno ciò che vorrai. Ti serviranno, ti aiuteranno a fare soldi senza tener conto di nulla e di niente, non esiste in loro cuore, e tanto meno anima. La loro vera madre è la mafia, un modo di essere comprensibile a pochi». 

«L'unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore – concluse Rita Atria nel tema di maturità - forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo».

 

 

 

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