Partecipa a Notizie Nazionali

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

Don Ciotti si racconta in un incontro nella casa dei missionari comboniani a Varese

Tanti i temi affrontati dal fondatore di "Libera" nelle oltre due ore di condivisione davanti a più di 250 persone

Condividi su:


Tossicodipendenti, vittime di tratte illecite, sfruttati, oppressi dalla mafia. Umili ed ultimi. Sono il popolo della strada, i fedeli della parrocchia di don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele prima e di Libera poi, che sabato pomeriggio si è raccontato a Venegono Superiore, provincia di Varese, nella casa dei missionari comboniani. E ha raccontato anche l'importanza di quel Vangelo e il suo rapporto con la Costituzione.

 La sua storia, nasce proprio dalla sua parrocchia: la strada. “A 17 anni andavo a scuola, frequentavo la parrocchia e litigavo coi preti. Com'è ironico il mondo - ha raccontato – Proprio in parrocchia parlavamo della povertà. Parlavamo e parlavamo, discutevamo tanto. Poi un giorno tornando a casa in tram sono sceso e sono andato da un uomo che come casa aveva un sacco di patate, indossava tre cappotti e che vedevo sempre leggere e sottolineare libri. Gli offrii un caffè, non rispose. Un thè, e non rispose. Pensavo fosse sordo ma sentiva. Testardo io, testardo lui, ci ho messo 12 giorni ad avere una risposta. Era un medico, travolto dalla tempesta della vita. Un giorno indicò un bar da cui entravano e uscivano tanti ragazzi, mi disse che andavano lì, univano medicine e alcol e si drogavano. Mi disse che lui era vecchio e malato, e che io dovevo fare qualcosa per quei ragazzi. Qualche giorno dopo non c'era più.

Quell'incontro ha segnato la mia vita, io ho cominciato così”. Dalla strada appunto, quella che nel Vangelo ha ruolo centrale per 109 volte, quella dove vive un mondo fatto di soprusi, violenze e droghe e dove il Gruppo Abele ha rappresentato e rappresenta la salvezza per tutte le categorie invisibili. Ed è davanti a quei ragazzi che in lui hanno visto la speranza che l'allora vescovo torinese Pellegrino ha ordinato il sacerdozio di Ciotti. “Sapevano che avrei dovuto lasciarli per andare a tenere una parrocchia. Funziona così – ha ricordato – Il vescovo però ha capito, e mi ha assegnato la parrocchia della strada”. Gli anni sono passati, sono arrivate le stragi di mafia, le morti di Falcone e Borsellino. “E di Vito Schifani, Rocco Dicilio, Antonio Mortinaro. Gli uomini della sua scorta, morti per il nostro Paese e che nessuno nomina mai ma che hanno, come ciascuno, piena dignità di essere ricordati col loro nome”. Da lì sono nate un milione e più di firme che hanno portato alla legge per la confisca dei beni dei mafiosi e il loro riutilizzo per il sociale. Imperfetta, ma invidiata da tutto il mondo e sbarcata, dopo 5 anni di lavoro a Bruxelles, anche in Europa. E che oggi disturba i boss, mina alla base “l'utilità sociale della mafia” grazie cui questa si radica e si sostituisce allo Stato. “Dove ieri c'era la villa del boss oggi c'è l'asilo, o il centro anziani. E oggi non parla la villa del boss, centro di un potere criminale, ma l'asilo e il centro anziani. I terreni confiscati alla mafia oggi sono luogo di lavoro e riscatto per migliaia di persone. Questo da fastidio ai mafiosi. Quando intercettarono Totò Riina che dal carcere ordinava la mia uccisione, è per questo disturbo, per questi risultati” ha spiegato don Ciotti, le fefeli guardie del corpo a pochi metri di distanza. Ma come tutti i “preti di strada”, da don Andrea Gallo a, molto più in alto, papa Francesco, l'attenzione non deve andare solo contro le mafie, a favore degli ultimi. “Serve conoscere. Oggi tutti avete la più grande biblioteca del mondo, internet – ha affermato, rivolto ai tantissimi giovani presenti – Imparate a cercare, ad approfondire, la conoscenza è un passo verso la responsabilità. Continuiamo a studiare questo mondo”.

Papa Francesco
“E' un dono di Dio, una meraviglia, quello che abbiamo sempre sognato. E' il papa che incarna lo spirito del Patto delle Catacombe, che ha dato vita al Giubileo del popolo ella strada e dei carcerati. Ci ricorda che siamo chiamati a scoprire Cristo nei poveri, a prestargli voce, ad essergli amici, ascoltarli, comprenderli e ad accogliere quella misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso loro”. A sentirlo parlare del pontefice, sembra si riferisca a un vecchio amico. “Quando l'ho incontrato la prima volta – ha ricordato – mi sembrava giusto portargli un regalo, un pensiero. Che si può regalare a un Papa? C'è un bar a Torino che fa un caffè buonissimo. Gliene ho portato un pacco e dopo qualche giorno il barista mi ha detto di aver ricevuto una lettera da Francesco che lo ringraziava per l'ottimo caffè. La volta dopo gliene ho portati due di pacchetti. Quando ci siamo conosciuti, mi ha chiesto chi mi avesse ordinato sacerdote. Michele Pellegrino, un vescovo che voleva farsi chiamare padre, che indossava una croce di legno e che, essendo professore, si era fatto tagliare la tonaca per tenerci penne e matite. Il Papa sapeva la risposta, sorrise perchè quando i suoi nonni erano poveri ed ebbero bisogno, lui li aiutò. A me ha chiesto di prestargli i miei appunti. E di far parte di una commissione pontificia su corruzione, violenze, tratte, giochi criminali. E come si fa a dire di no a un Papa. Io invece gli ho chiesto di incontrare alcuni rappresentanti delle famiglie vittime di mafia: accettò subito, e quando gli disse che tra loro c'era chi non credeva, chi era arrabbiato con Dio, era felice. E' un uomo di coraggio, che non ha avuto paura di prendere parte, di dire che la crisi ecologica e quella sociale vanno di pari passo. Il vescovo Tonino Bella una volta disse che non gli importava sapere chi fosse Dio, ma da che parte stava. Se tutti capissimo che Dio sta sempre dalla parte degli ultimi, il sogno di un cielo diventerebbe gaudiosa realtà. E Francesco continua a ripetercelo, che Dio è con gli ultimi. Noi tutti dobbiamo essere con lui e con la sua chiesa che si batte per i deboli. Anche se sono in tanti, anche in vaticano, a remargli contro”.

La Costituzione, la politica, la società
“Dopo il Vangelo, la Costituzione è il mio secondo riferimento. Così come c'è molta politica nel Vangelo, politica intesa come la più alta ed esigente forma di carità, di servizio per il bene di tutti, c'è molto Vangelo nella Costituzione, dove stabilisce uguale dignità e diritto ad avere pace e giustizia. La nostra Costituzione, se applicata, sarebbe il miglior testo antimafia. Il problema è questo, applicarla: per esempio c'è il diritto alla salute ma il 32% degli italiani si cura meno perchè non può permettersi i medicinali. Il problema è che l'omertà uccide la verità e la speranza. Nelle nostre città assistiamo a cose che umiliano le persone, quando sentiamo parole di disprezzo verso chi fugge in cerca di una terra promessa, non si può stare zitti. Quando in Turchia avviene un colpo di Stato che elimina anni di diritto e caccia professori e giudici, avete sentito qualcuno alzare la voce? No. Il silenzio. Dei 200mila morti in Burundi avete sentito parlare? Dei sacerdoti uccisi mentre al fianco dei contadini lottavano per difendere le terre? Ci sono un padre e una madre che chiedono la verità per loro figlio Giulio Regeni. L'Italia ha mandato via l'ambasciatore dall'Egitto, e poi ne ha mandato lì un altro. Abbiamo una legge che mette dei paletti sulla vendita di armi, qualcuno mi deve spiegare come mai quelle vendite sono triplicate in tre anni, e perchè le diamo a nazioni che favoriscono il terrorismo. Dobbiamo denunciare con rigore. Il 75% degli ecosistemi sono stati spazzati via. L'80% dellle semenze sono in mano a tre multinazionali che gestiscono il 75% dei diserbanti e dei concimi. E pochi mesi fa la Bayer, che 70 anni fa forniva i veleni delle camere a gas, ha comprato la Monsanto per 66miliardi di dollari. Siamo un paese che va a mode: prima di droga, e tutti a parlarne. Poi di Aids. Poi dopo gli sbarchi dall'Albania, di sicurezza. Oggi la parola d'ordine è legalità. Oggi quella parola è diventata un idolo e un sedativo, una bandiera in mano a chiunque. La legalità non è un fine, ma un mezzo per la giustizia. Sono due cose diverse. Sulla legalità c'è un consenso unanime, ma in molti la intendono malleabile. In 20 anni che si parla di legalità, l'illegalità è cresciuta grazie a leggi illegali e insostenibili, ad personam, a vantaggio dei forti e dei furbi, contro i diritti umani e contro la lotta alla corruzione. La legalità è il legame tra la responsabilità e la giustizia. Partiamo dalla scuola, dalla cultura, ed evitiamo la retorica della legalità”


Legalizzazione, carcere e dipendenze
“Primo, a me piace la gente lucida. Secondo, non dobbiamo avere le carceri piene di ragazzi con problemi di droga, servono percorsi alternativi che li portino fuori dal carcere e li reinseriscano nella società. In Francia solo il 24% di questi condannati finisce dietro le sbarre, in Italia l'82%, e il tasso di recidiva è altissimo lì dove mancano progetti e percorsi. Serve poi riflettere su tutte le dipendenze: facile parlare di droga e permettere poi il tabacco. O l'alcol. Ma lì ci sono le multinazionali, coi loro soldi, il loro potere e i loro interessi. Si deve partire dalla prevenzione, mentre oggi i servizi spariscono, le campagne preventive pure e la conseguenza è che torna l'incubo dell'eroina. Ma anche anoressia e bulimia sono forme di dipendenza. 50 anni fa mai avremmo pensato alle droghe sintetiche (68 nuove solo l'anno scorso), o che venissero dei nostri centri dei genitori che chiedevano di aiutare i loro figli a disintossicarsi dal consumismo. 15 anni fa noi del Gruppo Abele lanciammo un allarme sul gioco d'azzardo, ci presero per esagerati. Oggi la ludopatia è un dramma, e una società di slot machines sponsorizza la nazionale di calcio. Possibile che non si abbia la forza di dire basta? Abbiamo decine di migliaia di ragazzi che non escono dalle loro stanze, vivono in una rete virtuale, ne sono dipendenti. Io non so se la legalizzazione potrà davvero eliminare il mercato criminale di droga. A me interessa non il mercato ma il bene delle persone, e vorrei non ci fosse uno Stato che da una parte ci guadagna e dall'altra invece fa la morale. Io vorrei che nessuno sentisse il bisogno di prendere sostanze per sentirsi bene”.

Mafia e corruzione
“Nel 1900 don Luigi Sturzo disse che la mafia aveva i piedi in Sicilia e la testa a Roma, e che sarebbe risalita fino al Nord e oltre le Alpi. Nel '94 i vescovi hanno scomunicato pubblicamente tutti i mafiosi. Il Papa ha ricordato che chi compie il male non è cristiano. Oggi a Palermo c'è un'altra aria rispetto anni fa. Ma la mafia è presente da secoli, oggi è liquida: cresce, vive e cambia in mezzo a noi. Il Paese è cambiato ma le mafie sono forti, la 'ndrangheta è militarizzata, è internazionale, nonostante oggi ci sia fermento e lo vedo quando le donne ci chiedono aiuto per non far crescere i figli nella cultura mafiosa delle loro terre, quando le donne sfruttate alzano la testa, quando seguiamo ragazzi minorenni provenienti da famiglie mafiose che ci chiedono di rompere quei circuiti. Nel '96 raccogliemmo un milione e più di firme per la legge di confisca sui beni mafiosi: una legge monca, imperfetta, insufficiente che oggi speriamo di poter migliorare. Le mafie sono forti in momenti di crisi, perchè aiutano gli imprenditori, riescono facilmente a inserirsi nella società e a riciclare denaro sporco. E le mafie vanno di pari passo con la corruzione, sonon due facce della stessa medaglia. In Italia abbiamo una bassa percezione della corruzione, al pari del Montenegro e del Sud Africa. Se questa percezione fosse pari a quella tedesca, domani avremmo 558milioni di euro in più. Invece c'è chi vive di mafia, di massoneria, di poteri sporchi, di collusione. A Roma con una sola operazione hanno sequestrato 34 tra ristoranti e pizzerie. La Banca d'Italia tre anni fa ha denunciato i corrotti che siednon nei cda degli enti pubblici. Si deve fare pulizia e per farla ci vuole la volontà politica. Noi dal basso invece dobbiamo avere il coraggio di dire le cose e denunciare”.

 

Condividi su:

Seguici su Facebook