Una notizia buona e una cattiva. Partiamo da quella buona: l’Emilia Romagna è tornata ai livelli di performance economica che aveva nel 2009, all’inizio della crisi economica. Quella cattiva è che due province non riescono a reggere il passo della media regionale: Ferrara e Piacenza. Sono questi i dati che emergono dalle ultime rilevazioni dell’Ires, l’istituto di ricerca e statistica della Cgil che ha condotto un confronto tra l’attuale situazione economica regionale e quella di dieci anni fa.
Un’analisi da cui emerge soprattutto una tendenza generale e talmente costante da sembrare una regola. Di fronte alla recessione, il divario economico tra aree più e meno ricche si allarga costantemente: ricchezza e lavoro vanno a concentrarsi nelle zone e nelle città dove già erano più presenti, a discapito dei territori circostanti. Quindi, così come molti disoccupati ferraresi finiscono per trovare lavoro a Bologna – contribuendo alla crescita economica del capoluogo regionale -, quelli delle campagne abbandonano paesi e frazioni per trovare lavoro nelle imprese ferraresi. Dalle campagne alle città , dalle città ai grandi capoluoghi: i dati degli ultimi dieci anni mostrano come la crisi abbia imposto una decisa accelerata al fenomeno dello ‘svuotamento’ dei piccoli centri. E Ferrara da questo punto di vista rappresenta un po’ una stazione intermedia: abbastanza grande ed economicamente vivace da compensare le perdite occupazionali nelle campagne circostanti, ma non abbastanza da evitare che un quinto della sua forza lavoro (circa il 21%) si disperda in altre province sotto forma di pendolari.
Ma vediamo i dati dell’Ires, a partite da quelli sul valore aggiunto regionale, che indica la ricchezza prodotta in tutti i settori economici, pubblici e privati. Nel 2017 tre province hanno superato i livelli di dieci anni prima: Bologna (al 104,69%), Parma (102,63%) e Ravenna (101,5%). Per Modena, Forlì-Cesena e Rimini il dato è tra il 97% e il 100%, Reggio Emilia si aggira attorno al 95%, mentre decisamente più in basso troviamo Piacenza (88,3%) e Ferrara (87,2%). La provincia estense è fanalino di coda anche per quanto riguarda il reddito disponibile, che vede Ferrara ancora al di sotto dei livelli pre-crisi (98,5%), preceduta da Forlì, Piacenza, Bologna, Ravenna e Parma, che ha raggiunto il 107,5%.
Va un po’ meglio per quanto riguarda il tasso di occupazione, che a Ferrara registra il 67,7%: inferiore al 69,3% del 2007, ma meglio rispetto a province come Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini che oggi segnano rispettivamente il 65,8%, 66,5% e 63,3%. A guidare questa graduatoria è ancora una volta Bologna (71,8%), seguita da Piacenza, Parma, Modena e Reggio Emilia. Ritrovare Piacenza e Ferrara in buoni piazzamenti sul fronte dell’occupazione, ma assai più distanti per quanto riguarda la produzione economica, può essere visto come indizio del pendolarismo verso i grandi centri descritto inizialmente.