MPS è fallita. Praticamente si, legalmente no. Tecnicamente e legalmente la banca è ancora in piedi e quindi non ci sarà alcuna procedura fallimentare. Praticamente, in una logica di mercato, è fallita come sarebbe tale qualsiasi altra azienda che non riuscisse a trovare denaro fresco per andare avanti.
Per capirci: se un imprenditore, di una qualsiasi società, continua ad accumulare perdite prima o poi, se non trova dei nuovi soci o danari da investire nella società, dovrà portare i libri in tribunale.
MPS ha provato a fare una nuova ricapitalizzazione da 5 miliardi di euro (che segue gli altri 5 del 2014 e 3 del 2015) attraverso il mercato ma questa volta, memori delle continue perdite in borsa del titolo e dell’instabilità politica creatasi post-referendum, gli investitori si sono tirati indietro.
Tuttavia, il sistema bancario non è un’industria come le altre, si regge solo ed esclusivamente sulla fiducia (null’altro che quella, niente complicati modelli matematici o roba simile) per cui il timore che il crollo di una grossa banca avrebbe creato seri problemi anche a quelle più sane del sistema (il bank run come la chiamano gli inglesi) ha costretto lo stato ad intervenire, per cui il Tesoro, cioè noi tutti italiani, anche quelli che non avevano comprato azioni MPS o magari le hanno vendute, saranno azionisti di maggioranza di MPS, tramite le proprie tasse.
Del resto è già successo con le altre quattro banche recentemente salvate. In questo caso i soldi per salvarli ce li hanno messi le altre banche del sistema e rimessi alcuni obbligazionisti, causa la nuova normativa europea del bail-in.
Questa volta tuttavia si è fatto diversamente: i troppi soldi necessari ce li ha messi lo stato e il governo, memore del putiferio generatosi dalle perdite degli obbligazionisti subordinati retail, questa volta ha fatto in modo di non applicare il bail-in per cui solo i grandi investitori istituzionali vedranno decurtati i rimborsi sulle obbligazioni subordinate (del 25%) mentre saranno interamente salvaguardati i piccoli risparmiatori. E qui sono già partite le polemiche per il diverso trattamento riservato agli obbligazionisti subordinati di MPS rispetto a quelli delle quattro banche salvate con il decreto di fine 2015.
La storia tuttavia è solo all’inizio. Nel suo piano industriale, prima del fallito tentativo di ricapitalizzazione, oltre alla cessione di miliardi di crediti in sofferenza, MPS aveva previsto la chiusura di 500 filiali e il taglio di 2600 dipendenti (il 10% della forza lavoro) entro il 2019 e aveva stimato una perdita a fine 2016 di quasi 5 miliardi. Un nuovo piano dovrà comunque essere approvato e quindi nuovi numeri verranno fuori.
Tutta questa storia cosa ci insegna? Le considerazioni possono essere molteplici e ci vorrebbe forse un libro. Qui mi limito a 2 brevi osservazioni:
Nel 2008 si è voluta applicare una logica di mercato permettendo a Lehman Brothers di fallire. E’ stato l’inizio di una reazione a catena che per poco non ha portato giù il sistema finanziario mondiale. Alla fine Obama e la FED hanno tirato fuori centinaia di miliardi di euro per salvare le banche. Lo stesso è avvenuto con le crisi bancarie in Irlanda, Spagna e Germania. Idem anche per situazioni minori come nel caso di Carichieti e le altre “3 sorelle”, dove lo stato, a furore di popolo, ha dovuto indennizzare quasi completamente gli obbligazionisti subordinati in barba alla logica di mercato che ha voluto l’applicazione del bail-in, voluto proprio perché le opinioni pubbliche erano stanche di dover finanziare i fallimenti e le cattive gestioni delle società private. Morale: il modello economico del mercato, insieme al regolatore pubblico, crea regole che dovrebbero tutelare il sistema stesso e i suoi partecipanti ma che poi risultano inefficaci, se non addirittura controproducenti, quando più se ne ha bisogno.
Lo stato italiano ha il terzo debito pubblico al mondo se raffrontato al PIL con un rapporto del 133% (ci precedono solo il Giappone con il 230% e la Grecia con il 177%). Periodicamente lo stato rifinanzia il suo fabbisogno con aste pubbliche, quindi tramite il meccanismo di mercato, chiedendo soldi in prestito a privati e investitori istituzionali nazionali ed internazionali. Se ci fosse una crisi di fiducia (per qualsiasi motivo…) nel sistema Italia e non ci fossero abbastanza persone disposte a finanziare il paese (vedi parallelo con ricapitalizzazione di MPS) di nuovo si ricorrerebbe all’intervento pubblico. In questo caso i soldi lo stato li chiederebbe ai conti correnti dei cittadini. Morale: gira e rigira, se necessario, sarà sempre il contribuente a dover mettere mano al portafoglio, mercato o non mercato.
Alberto Marracino
Consulente finanziario
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